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La caduta del
clan Giampà

Si chiama “Villa Gioia” ed ormai è il simbolo della caduta dei Giampà, un clan che fino a qualche mese fa imponeva la sua leadership su tutta la parte Est della città. Facendo tuonare le pistole in caso di sgarro, per tenere a bada le altre cosche come i Torcasio e i Gualtieri. Bruciando vivo in macchina un cane sciolto come Roberto
Amendola che col suo furore giovanile avrebbe avuto la velleità di fare da solo. A fine giugno sono finiti in galera i 36 esponenti più di spicco della gang, inclusa la cupola che loro stessi chiamavano “commissione”. Ad incastrarli le dichiarazioni di una quindicina di pentiti, alcuni dei quali contavano molto nel clan, come Angelo Torcasio, i
Cappello di Bella, e Battista Cosentino. L’effetto domino vuole che a questo gruppo di collaboratori ser ne aggiungano altri, uno dei quali di peso nelle decisioni importanti della cosca ormai in caduta libera. L’uomo avrebbe dato la sua disponibilità a parlare ed entrare nel regime di protezione, intanto gli inquirenti lo tengono in isolamento per evitare rappresaglie in carcere. È in moto la macchina dello Stato per capire fino a che punto l’aspirante pentito vuole spingersi. La debolezza dei Giampà comporta anche una presa di coraggio dei commercianti che non vogliono pagare la mazzetta. Ed alle indagini della Direzione distrettuale antimafia che hanno portato agli arresti con prove schiaccianti, s’aggiunge l’appello dei magistrati: «Chi continua a pagare il pizzo collabora con loro e può essere incriminato».

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