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Cassazione “certifica”
l’esistenza della cosca
Fiarè di San Gregorio

  Confermata quasi integralmente dalla Cassazione la sentenza emessa il 24 novembre 2011 dalla Corte d’Appello di Catanzaro contro i vertici del clan Fiarè di San Gregorio d’Ippona, tutti coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Rima”. Il verdetto, al di là dell’esiguo numero di imputati di tale troncone, assume una valenza storica perché riconosce per la prima volta l’esistenza in via definitiva dell’associazione mafiosa denominata “cosca Fiarè-Razionale”, una consorteria a cui gli inquirenti hanno attribuito un’autorità criminale nel Vibonese pari quasi a quella dei Mancuso di Limbadi. Il reato associativo ha dunque retto per: Rosario Fiarè, 65 anni, condannato a 6 anni e sei mesi; Filippo Fiarè, 56 anni, fratello di Rosario, la cui pena finale ammonta a 5 anni; Domenico Grande, 50 anni, che si vede confermata la condanna a 3 anni. Per quanto attiene invece Saverio Razionale, 52 anni, ritenuto il “numero due” del clan, che in appello era stato condannato ad una pena complessiva di 4 anni e sei mesi, nei suoi confronti regge il reato associativo, ma in relazione ad una contestazione legata ad un episodio di usura ai danni di un imprenditore la Cassazione ha annullato con rinvio. Solo relativamente a tale contestazione sarà quindi necessario un nuovo processo di secondo grado per Razionale. Altri reati legati a truffe ed usura erano stati invece già dichiarati estinti per prescrizione al termine del verdetto d’appello. La sentenza di primo grado in abbreviato, rito che è valso agli imputati uno sconto di pena pari ad un terzo, era arrivata il 20 dicembre 2006. Il verdetto di secondo grado era stato però annullato con rinvio dalla Cassazione in quanto le motivazioni di quella sentenza d’Appello erano state ritenute dalla Suprema Corte quasi integralmente copiate, errori di scrittura compresi, da quella di primo grado. Da qui un nuovo processo conclusosi il 24 novembre 2011 e la conferma quasi integrale di tale sentenza registratasi ieri in Cassazione. Divengono dunque definitive le pene per 3 degli imputati. L’operazione “Rima”, scattata nel luglio del 2005, era stata avviata dal pm della Dda di Catanzaro, Patrizia Nobile, e poi portata a termine dall’allora pm (oggi alla Procura generale) Marisa Manzini. Le indagini avevano scoperchiato gli affari di uno dei clan più influenti del Vibonese, forte di alleanze con le cosche lametine e del reggino. La genesi della “famiglia Fiarè”, alleata dei Mancuso, viene delineata dai collaboratori Iannello e Servello con riferimento alla faida intercorsa sin dai primi anni ’80 fra i Fiarè-Gasparro, all’epoca capeggiati da Giuseppe Gasparro, alias “Pino u gattu”, cognato di Razionale, ed il gruppo dei “vibo - nesi” guidati da Francesco Fortuna, detto “Ciccio Pomodoro”, operanti su Vibo-città. Lo scontro, culminato con l’omicidio di Fortuna, aveva segnato l’ascesa criminale dei Fiarè che dopo la morte di Gasparro aveva trovato in Rosario Fiarè la guida indiscussa. Rosario Fiarè era difeso dagli avv. Giancarlo Pittelli ed Antonio Crudo; Filippo Fiarè dagli avv. Antonio Galati e Pittelli; Saverio Razionale dagli avv. Alessandro Diddi ed Anselmo Torchia; Domenico Grande dall’avv. Francesco Lojacono.

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