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Omicidio Galati, il
dolore dei genitori

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  I giudici della Corte di Assise di Appello Catanzaro (presidente Talarico, a latere Gianfranco Grillone) hanno condannato Pietro Mazzotta (difeso dagli avvocati Franco Giampà e Arturo Bova) a 12 anni di reclusione, 30 anni sono invece stati inflitti a Emanuele Caruso (difeso dall’avvocato Gambardella). La sentenza è stata emessa ieri dopo che la prima sezione penale della Corte di Cassazione nel settembre dello scorso anno aveva annullato, con rinvio ad altro collegio giudicante della Corte di Assise di Appello di Catanzaro, sia Pietro Mazzotta, che in appello era stato assolto, sia Emanuele Caruso, cui era stata riconosciuta una riduzione di pena. Rispetto alla sentenza di primo grado Mazzotta si è visto ridurre la pena di quattro anni essendogli stati riconosciute le attenuanti generiche, a Caruso sono stati invece riconfermati i 30 anni che gli erano stati inflitti sempre nel processo di primo grado. I due, assieme a Santino Accetta, condannato nel mese di novembre a 22 anni di reclusione erano accusati di avere nella notte di Capodanno del 2009 attirato in una trappola Cristian Galati, di 24 anni, facendolo salire sull’auto di Mazzotta, e di averlo bruciato vivo. Il giovane morì nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Bari dopo due mesi di atroci sofferenze, prima di perdere conoscenza sull’elisoccorso che lo trasportava all’ospedale di Catanzaro per poi essere trasferito a Bari sarebbe però riuscito anche se con un filo di fiato a fare i nomi dei suoi aguzzini. Gli avvocati di parte civile Carlo Borello, Leopoldo Marchese e Luca Scaramuzziono hanno accolto con soddisfazione la sentenza dei giudici della Corte d’Assise di Appello dopo che la Cassazione, come detto, aveva deciso di disporre un nuovo processo. Il gravissimo fatto di sangue all’epoca in cui accadde scosse l’intera comunità filadelfiese per la ferocia con la quale Cristian Galati venne assassinato. Una esecuzione spietata con la vittima che implorava di essere risparmiata. I suoi assassini, secondo quanto riferirono i carabinieri dopo il loro arresto avvenuto nell’arco di poche ore dal delitto continuarono invece a infierire contro di lui prendendolo prima a martellate in testa e poi centrandolo al volto con una catena, una volta tramortito lo portarono in località Corda, una zona a cavallo tra il territorio di Filadelfia e quello di Maida dove, dopo avere cosparso il corpo di liquido infiammabile, lo bruciarono vivo. Pensando di avere portato a compimento la loro missione di morte si allontanarono dal luogo facendo ritorno a Filadelfia verso le cinque del mattino. Cristian Galati nonostante le ferite e le ustioni in quasi tutto il corpo non morì subito. A effettuare l’atroce scoperta un contadino che verso le sei si recava in un suo podere il quale udì dei lamenti provenire da un luogo poco distante dalla strada e diede l’allarme. Cristian Galati secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti sarebbe stato ucciso per dei contrasti con Santino Accetta che lo accusava di avergli incendiato l’auto perché sospettava che Accetta sapesse qualcosa sulla scomparsa del fratello Valentino, più piccolo di lui di quattro anni, avvenuta nel 2006, presumibilmente vittima della lupara bianca. Motivi futili, quindi, all’origine del feroce omicidio. I genitori di Cristian, Anna Fruci e Vincenzo, si dicono soddisfatti della sentenza che definiscono giusta e esemplare. «Nessuna sentenza potrà ridarmi più mio figlio – ha sottolineato la signora Anna. Ma chi si è macchiato di un così efferato delitto è giusto che paghi. Non riuscivo a sopportare che uno degli aguzzini di Cristian fosse libero e che l’altro invece se la fosse cavata con una pena lieve. La legge e la giustizia hanno finalmente trionfato. Io, mio marito e i miei figli abbiamo da sempre creduto nella legge, la sentenza emessa ieri, se questo ci può essere di aiuto dimostra che oltre a quella divina c’è anche una giustizia terrena».

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