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Inchiesta sull’acqua,
Nas ancora in azione

La ruota dei controlli, messa in movimento dai carabinieri del Nas, continua a girare. E in questo caso non si tratta di portare acqua a chissà quale mulino, ma fare in modo che quella che arriva nelle case di migliaia di persone sia degna d’essere definita potabile e, quindi, d’essere usata. Al momento l’attività di indagine si muove lungo la rotta degli accertamenti anche perché, dopo l’allarme benzene che benzene non era, ma composti aromatici di benzene espressi come benzene “corretti” ai cloriti, il raggio d’azione investigativo è più vasto che mai. In pratica si procede al controllo di quanti devono, o avrebbero dovuto, controllare. Inoltre obiettivo degli investigatori del Nas – coordinati dal cap. Giovanni Trifirò – è di capire se ci siano responsabilità e di chi. Ma sullo scacchiere “acqua potabile” – al di là dei venti avvisi di garanzia notificati nei giorni scorsi ad altrettanti sindaci per omessi controlli sull’acqua, la complessa partita che si sta giocando è soprattutto quella strettamente legata all’invaso dell’Alaco, più volte in questi giorni finito nel mirino delle associazioni e del Comitato Pro-Serre innanzitutto. In tal senso le denunce sono pesanti per cui, prima di mettere mano agli interventi previsti nel piano redatto dai consulenti e quindi sanare le posizioni già rilevate a maggio con l’inchiesta “Acqua sporca”, si sta cercando di accertare se l’acqua dell’invaso sia idonea, dopo i processi di potabilizzazione, all’uso umano. Tutto ciò anche allo scopo di evitare un dispendio di risorse viste quelle già spese per la realizzazione dell’opera. Come si ricorderà, infatti, per la costruzione dell’invaso che contiene 150 milioni di metri cubi d’acqua – pro - gettato nel 1961, approvato nel 1978, appaltato nel 1985, ultimato nel 2004 ed entrato in funzione nel 2006 –sono stati spesi ben 150 miliardi di ex lire. Oggi, pertanto, quello che si vuole evitare è di investire altro denaro per interventi che potrebbero, ma sul punto è ancora tutto da accertare, rivelarsi un buco nell’acqua. Ma a rendere più tumultuoso il torbido mare magnum della vicenda “acqua potabile” si inseriscono, oltre a quelle delle associazioni, anche le iniziative di alcuni enti locali. Il sindaco di Serra San Bruno, Bruno Rosi, infatti, ha già sporto due denunce querele, mentre il primo cittadino della città capoluogo, Nicola D’Agostino, ha preferito seguire altre rotte, come quelle della richiesta di risarcimento danni alla Sorical (società che ha la gestione delle risorse idriche calabresi) – una seconda richiesta è stata presentata proprio in questi giorni – alla luce del fatto che la Procura si è già mossa per accertare non solo lo stato dell’arte ma anche eventuali responsabilità. Sia per quanto riguarda errori, sia per i ritardi con cui la non potabilità dell’acqua è stata comunicata. Un aspetto quest’ultimo non solo legato all’allar - me benzene, rientrato nel giro di un giorno – anche se ancora nessuno si è preso la briga di spiegare cosa siano i “composti aromatici di benzene espressi come benzene” – ma in particolar modo al fatto che già lo scorso 7 dicembre, nei campioni prelevati il giorno precedente, l’Arpacal accertava presenza in eccesso di cloriti e lo comunicava all’Asp di Soverato competente per territorio. Eccesso di cloriti di cui i cittadini non hanno mai saputo nulla con buona pace per chi l’acqua ha in vario modo ingurgitato.

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