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Omicidio Villirillo:
condannati i Bonaventura

Vent’anni di reclusione a Guglielmo Bonaventura e 12 anni di carcere al cugino Luigi Bonaventura collaboratore di giustizia. Così ha deciso ieri il giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro Maria Rosaria Di Girolamo che ha giudicato e condannato, col rito abbreviato, i due cugini crotonesi, accusati di concorso nell’omicidio di Rosario Villirillo, pescivendolo 51enne ammazzato il 14 dicembre 1991 vicino al porto vecchio di Crotone a colpi di revolver. L’allora pubblico ministero antimafia Salvatore Curcio (oggi sostituto procuratore generale), aveva chiesto al giudice di condannare a 30 anni di reclusione Guglielmo Bonaventura difeso dagli avvocati Sergio Rotundo e Fabrizio Salviati, mentre aveva proposto una condanna a 12 anni per Luigi Bonaventura, assistito dall’avv. Giulio Calabretta. Reo confesso del delitto il 42enne collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura con le sue dichiarazioni poi corroborate dalle testimonianze coincidenti rese da altri due “pentiti” – Domenico Bumbaca e Pino Vrenna – indicò il 43enne cugino Guglielmo Bonaventura, come compartecipe dell’agguato mortale al 51enne pescivendolo. Guglielmo Bonaventura secondo l’accusa e secondo quanto dichiarato da “Gne gne”, il giorno del delitto aveva condotto l’auto con a bordo il cugino che sparò a Villirillo. Il pescivendolo sarebbe stato assassinato per mettere alla prova gli imputati, allora appena ventenni, ai quali i vertici della cosca Vrenna-Bonaventura avrebbero chiesto una prova di coraggio. In base a questa ricostruzione il 7 novembre 2011 gli agenti della Squadra Mobile della Polizia di Stato notificarono a Guglielmo Bonaventura un’ordinanza di custodia cautelare a suo carico con la quale gli venne contestato il concorso nell’omicidio di Rosario Villirillo. Vent'anni erano passati dall’agguato al porto vecchio del quale si autoaccusò Luigi Bonaventura. «Avevo con me – raccontò “Gnegne” testimoniando al processo “Tramontana” e raccontando quell’assurdo delitto – una 38 special. Si individuò Villirillo, scesi dall'auto e gli sparai». E proseguendo nel racconto aggiunse: «Stava parlando con un rigattiere che era chiamato "Il chiattone": sparai a Villirillo un primo colpo al volto, altri due al petto e poi due colpi di grazia alla nuca». Le dichiarazioni rese da Luigi Bonaventura al pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Salvatore Curcio e poi ai giudici durante vari procedimenti, non solo risultarono concordanti con quelle di altri due collaboratori di giustizia (Domenico Bumbaca e Giuseppe Vrenna, che raccontarono come i due cugini Bonaventura all'epoca dei fatti avessero ricevuto il mandato d'uccidere dai vertici del cartello criminale cui appartenevano), ma vennero ritenute convergenti anche con altri elementi raccolti all’epoca dagli investigatori sul luogo del delitto Villirillo. Un esempio. Luigi Bonaventura fra l'altro dichiarò agli investigatori della Polizia di Stato che misero a verbale le due dichiarazioni, di essersi disfatto, allontantandosi dal luogo dell'omicidio, dell'arma usata per sparare a Villirillo buttandola nell'erba di un'aiuola. Ebbene, il 17 dicembre 1991, tre giorni dopo il grave fatto di sangue, l'arma usata per il delitto (un revolver 38 special "Grand Brno" di fabbricazione cecoslovacca) venne trovata dai carabinieri in un'aiuola poco distante dal luogo in cui Rosario Villirillo venne ucciso con cinque colpi di pistola: due al capo, uno al volto, due al petto. La pluralità di elementi precisi e concordanti scaturiti dalle dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia sono confluitinel fascicolo del procedimento e sono stati ribaditi davanti al giudice dell’udienza preliminare dai magistrati della Procura distrettuale antimafia rappresentata ieri in udienza dal sostituto procuratore Pierpaolo Bruni.

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