Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

I fucili usati
abbandonati accanto
al corpo di Chiodo

Inevitabili i rimandi all’ultimo delitto in ordine di tempo, avvenuto lunedì sera a Vallefiorita, a soli 15 km di distanza da Montauro, dove sono stati assassinati i coniugi Bruno. Per gli inquirenti però l’eliminazione di Francesco Chiodo non è da leggere come la risposta al duplice omicidio, dal momento che l’ipotesi prevalente è che Giuseppe Bruno e Francesco Chiodo non frequentassero ambienti contrapposti. Il filo sottile che porterebbe ad una connessione tra i due casi si basa principalmente sulle modalità dell’esecuzione dei due agguati, caratterizzati tra l’altro dall’abbandono delle armi usate sulla scena del delitto. Un codice che trova la chiave per essere decifrato nel messaggio che affida al gesto, un segnale di supremazia per dimostrare la “potenza di fuoco” di cui la cosca mandante può disporre. Sono due i fucili calibro 12 caricati a pallettoni rinvenuti in contrada Zalarmichello dove Chiodo aveva da anni avviato la sua attività lavorativa con una cava di inerti che gli era costata una prima denuncia in stato di libertà da parte dei carabinieri che avevano sequestrato gli impianti, scoprendo poi un illecito scarico dei reflui industriali riversati da una vasca interna all’azienda, in un vicino torrente senza autorizzazioni e senza il necessario e preventivo trattamento depurativo. Sono i primi problemi con la legge datati 29 novembre 2011 a cui si aggiungeranno quelli più gravi all’interno dell’operazione “Show down” con un mandato d’arresto risalente a dicembre dello stesso anno, questa volta con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, per dei rapporti che Chiodo avrebbe avuto - secondo l’accusa - sin dal 2007 con i vertici della cosca Sia-Procopio-Tripodi per ciò che riguarda le forniture edili per i lavori nei territori di Montauro, Montepaone e Soverato. L’uomo si era reso in un primo momento latitante per poi costituirsi il 16 dicembre del 2011 e, scarcerato da poco, era in attesa dell’inizio del processo fissato per il 13 marzo. Nessuna pista viene esclusa dalle indagini condotte dal nucleo operativo della Compagnia dei Carabinieri di Soverato sotto la responsabilità del comandante Francesco Gammone all’interno di un’attività di investigazione che si muove su più versanti e che ha permesso di ricostruire la dinamica dell’accaduto. Almeno due gli esecutori che potrebbero aver raggiunto l’uomo, freddato mentre stava lasciando la cava nel momento in cui era sceso dalla sua auto, un Suv Mercedes di colore nero, per chiudere il cancello alle sue spalle. I killer con molta probabilità sarebbero risaliti da un campo di uliveti per far esplodere, frontalmente rispetto all’uomo, i 5 colpi rinvenuti. Sono due i colpi che hanno raggiunto l’uomo, all’ad - dome e a una gamba, facendolo cadere sulle sue spalle nella posizione in cui è stato trovato privo di vita, secondo alcune indiscrezioni, dal nipote, che sovente si recava nella cava per aiutarlo nelle sue attività lavorative che si volevano incrementare con la creazione di un sito di stoccaggio rifiuti, adiacente la cava di inerti, nel comune di Montauro. Il fascicolo sull’omicidio di Francesco Chiodo è stato trasferito alla Dda di Catanzaro: «Gli omicidi di questi giorni –è il commento del Procuratore della Repubblica di Catanzaro e capo della Dda Lombardo – vanno ricostruiti e decifrati con molta attenzione. Ci sono dinamiche nuove, gruppi e formazioni che vogliono attestare la loro supremazia? Questo è l’interrogativo che ci stiamo ponendo. Stiamo lavorando per dare delle risposte chiare e forti a tutto il comprensorio.

Tag:

Caricamento commenti

Commenta la notizia