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I “signori” di Limbadi
e il controllo
del territorio

Da Dinasty Affari di famiglia a Black Money (soldi neri). Dall’8 ottobre 2003 al 7 marzo 2013 sono passati nove anni e 4 mesi ma i Mancuso continuano a dominare in lungo e largo sul territorio vibonese: impongono le loro regole, controllano l’intera economia del territorio, tengono sotto scacco le attività produttive, succhiano risorse, esercitano un dominio pressocché totale. Dall’inchiesta della Distrettuale antimafia, coordinata dal sostituto procuratore generale Marisa Manzini, emerge tutta la forza pervasiva della potente cosca di Limbadi. Non solo estorsioni, usura, movimenti di denaro da una banca all’altra, ma anche la capacità d’infiltrarsi nelle istituzioni, di camminare fianco a fianco con esponenti della politica e dell’avvocatura e finanche con poliziotti, ormai trasferiti in altre sedi. Un’operazione che rappresenta la sintesi di tre filoni d’indagine saldati tra loro da un magistrato come il sostituto procuratore generale Marisa Manzini, che dopo i colpi assestati negli anni compresi fra il 2003 e il 2009, è tornata a scavare nella costellazione della grande criminalità, alzando il livello delle indagini, ridisegnando i nuovi assetti della cosca e andando a colpire anche in quel mondo imprenditoriale collocato persino fuori dalla cosiddetta zona grigia, ma organico ai signori di Limbadi. Un capitolo che sicuramente non è stato ancora chiuso. E in tal senso le parole del procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Borrelli sono state piuttosto chiare. Un’indagine che riporta tutti con la mente alla “mamma” di tutte le inchieste antimafia effettuate nel territorio Vibonese: Dinasty Affari di famiglia. Perché i protagonisti di oggi sono ancora una volta quelli di ieri: da una parte i “signorotti” di Limbadi; dall’altra Marisa Manzini e il vice questore Rodolfo Ruperti, allora dirigente della Mobile di Vibo, oggi a capo della squadra Mobile di Catanzaro dopo una parentesi piuttosto impegnativa nel territorio dei Casalesi. E non è un caso che entrambi siano stati destinatari, secondo quanto emerge dalle indagini, di pesanti commenti da parte dei vertici dell’organizzazione mafiosa. Antonio Mancuso, nel corso di alcuni colloqui avvenuti in carcere con alcuni familiari «evidenzia astio e rancore profondo che prova per uomini delle istituzioni ed in particolar modo per coloro che riteneva responsabili dell’esisto delle sue vicende giudiziarie, che appellava spesso con termini offensivi e denigratori». E in questo contesto gli inquirenti evidenziano alcune frasi. «Manzini ed a Ruperti, il Questore, tutti e due, maiali». E poi ancora: «.. e là c’è la Manzini, c’è quello che mi ha condannato nella causa, c’è, c’è... coso là, quel Questore che era a Vibo ». Colloqui nel corso dei quali Antonio Mancuso manifesta tutta la sua rabbia nei confronti del sostituto procuratore generale e del dirigente della Mobile di Catanzaro: «Ancora sono loro che “dirigono l’orchestra”. Sempre quel cornuto, quello che era a Vibo? – chiede qualcuno dei familiari ad Antonio Mancuso – sì, sempre loro, tutti e due... il gatto e la volpe» Antonio Mancuso, è stato accertato nel corso dell’indagine, rappresenta colui il quale all’interno della grande famiglia viene chiamato per dirimere i contrasti tra le articolazioni e comunque i dissidi e le incomprensioni, coordinando l’operato degli affiliati e salvaguardando l’immagine esterna della cosca.

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