Non solo politici e imprenditori, o personaggi della cosiddetta “Vibo bene”. A intrattenere rapporti con esponenti della cosca Mancuso anche avvocati e funzionari della Polizia di Stato. A tessere i rapporti sempre Pantaleone Mancuso (cl. 47), l’uomo che secondo gli inquirenti ai metodi violenti preferiva le buone maniere, facendo leva soprattutto «sul suo carisma derivante dalla notorietà dell’appartenenza ad un gruppo mafioso estremamente potente». Le vicissitudini giudiziarie, per via dei pesanti colpi inferti nel 2003 alla cosca di Limbadi con l’operazione Dinasty e le successive condanne che hanno tenuto capi e gregari del clan in carcere per lunghi periodi, avrebbero indotto il boss, figura apicale con i fratelli Antonio (Zi ‘Ntoni) e Cosmo Michele (detto Cannuni) a scegliere chi lo avrebbe dovuto rappresentare in certi ambienti. E in tal senso per i magistrati della Dda il suo “delfino” non poteva che essere il genero, Antonio Maccarone. Persona pulita inserita nel mondo dell’imprenditoria turistica attraverso la gestione di uno dei villaggi più rinomati della zona di Capo Vaticano. Un luogo che fa gola a molti e quindi anche ad avvocati e poliziotti. E nel villaggio dove operano la moglie di Antonio Maccarone (Rosaria Mancuso e la sorella Francesca, figlie di Pantaleone Mancuso) si consolidano amicizie e frequentazioni. Sulla base di quanto viene evidenziato nel decreto di fermo, stilato dal sostituto procuratore generale Marisa Manzini e le cui indagini sono state condotte dalla squadra Mobile di Catanzaro e dal Gico di Trieste, avrebbe giocato un ruolo fondamentale l’avvocato Antonio Carmelo Galati (che risulta indagato). In particolare il legale, che in passato per anni ha assunto la difesa di esponenti di primo piano dei Mancuso, «ha consentito a Pantaleone Mancuso (cl. 47), per il tramite della figlia Rosaria e del genero Antonio Maccarone di intrattenere rapporti diretti con il dott. Emanuele Rodonò , funzionario della squadra Mobile della Questura di Vibo Valentia», da tempo ormai trasferito in altra sede. Gli inquirenti arrivano a queste conclusioni sulla base di una serie di intercettazioni ambientali tra Galati e Mancuso dal cui contenuto emergono «esplicite rassicurazioni circa il fatto che la Squadra Mobile di Vibo non conduceva indagini sul Mancuso, nonché il fatto che lo stesso avv. Galati aveva offerto al Mancuso l’opportunità di intrattenere rapporti anche con il dirigente della squadra Mobile, dott. Maurizio Lento». A calamitare l’attenzione del funzionario e del dirigente della Mobile, oltre all’avv. Galati, le assidue frequentazioni con Antonio Maccarone, persona dai modi educati e gentili al punto che dalle intercettazioni emerge che il genero del boss avesse conquistato anche simpatia del questore dell’epoca.
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