Fra circa un mese sarà emessa la sentenza nei confronti delle 36 persone tratte in arresto nel mese di giugno dello scorso anno nell’ambito della cosiddetta operazione Medusa. Processo che si sta celebrando col rito abbreviato contro capi e gregari della famiglia Giampà. Quindi slitta la data della sentenza che era attesa da molti al termine dell’udienza di venerdì, che si è tenuta davanti al giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro, Giovanna Matroianni, e che è iniziata con la continuazione della discussione dell’avvocato Aldo Ferraro (già intervenuto nella scorsa udienza nell'interesse di Vincenzo Giampà e Vincenzo Arcieri), questa volta a favore di Rosario Notarianni e Luigi Notarianni (classe 1992). Ferroro si è a lungo soffermato sull’estraneità dei suoi assistiti alle accuse che vengono loro contestate, evidenziando non solo la mancata dimostrazione dell’esistenza della cosca Notarianni, che l'accusa ha ritenuto inglobata nella cosca Giampà, e che renderebbe tutti i Notarianni, «solo per questo», responsabili del reato di associazione mafiosa, ma anche sull’impossibilità di ravvisare il reato di estorsione nell'avere, Luigi Notarianni, beneficiato dello sconto del 50% in alcuni negozi di abbigliamento. E ciò per la mancanza di minaccia esplicita o implicita allo stesso riconducibile, tale da consentire di affermare, che la disponibilità dei negozianti a concedere sconti era il risultato di azioni violente o minacciose dello stesso imputato. In altri termini, l'avvocato Ferraro ha sostenuto che «non basta che Luigi Notarianni (come tanti altri imputati per questo tratti a giudizio) abbia effettuato degli acquisti a prezzi scontati per irrogargli la condanna a sei anni richiesta dal pubblico ministero, ma è necessario dimostrare che egli abbia ottenuto prezzi vantaggiosi solo per avere costretto, anche solo implicitamente, lo stesso commerciante a praticargli tali sconti». È poi intervenuto l'avvocato Pino Spinelli per le posizioni di Antonio Notarianni, Luigi Notarianni detto gingomma, Alessandro Torcasio e l'avvocato Leopoldo Marchese per Antonio Voci, quest'ultimo colto da malore durante l'udienza, tanto che si è reso necessario sospendere il processo fino all'arrivo di un’ambulanza, che ha poi trasportato l'imputato in ospedale per le cure del caso, fino alla sua rinuncia a partecipare all’udienza. Comunque l’avvocato Marchese, nel corso del suo intervento a sostegno del suo assistito, ha evidenziato «l'assoluta mancanza di convergenza temporale e fattuale delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in ordine alle chiamate in reità di Voci in relazione ai suoi presunti coinvolgimenti nel traffico di sostanze stupefacenti e nelle estorsioni». Mentre l’avvocato Lucio Canzoniere, nel concludere il suo intervento già iniziato nell’interesse dei propri assistiti alle scorse udienze, ha evidenziato nell’interesse di Saverio Giampà, imputato per la ritenuta partecipazione alla contestata associazione Giampà, di come «sussistano in atti elementi che smentiscono incontrovertibilmente le dichiarazioni accusatorie di alcuni collaboratori di giustizia e segnatamente quelle di Angelo Torcasio e Battista Cosentino ». E a tal proposito l’avvocato Canzoniere ha fatto rilevare che dalla certificazione allegata agli atti emerge come Saverio Giampà sia stato ininterrottamente detenuto dall’ottobre del 2009 al 13 luglio del 2011 e che nulla a suo carico di indiziante emerge rispetto all’accusa di aver fatto parte della associazione. Facendo riferimento agli aspetti temporali, l’avvocato Canzonieri ha fatto rilevare come emerge dagli atti che Torcasio e Cosentino siano stati tratti in arresto nell’operazione “Deja vu” 1 e 2 il successivo 21 luglio 2011 e che conseguentemente in q«uesto periodo di solo una settimana non emerge nulla di indiziante a carico del suo assistito». L’avvocato Canzoniere ha inoltre evidenziato come Battista Cosentino non conosca nemmeno Saverio Giampà, mentre Torcasio nell’accusare Giampà della perpetrazione di alcune rapine asseritamente commesse tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 «risulterebbe smentito proprio dal certificato di detenzione dello stesso Giampà: nessun ruolo in seno all’associazione, secondo il difensore, «è quindi ascrivibile a Giampà Saverio» e per questo ne ha chiesto l’assoluzione. In aula venerdì c’era anche Maurizio Molinaro che ha assistito al processo non insieme agli altri detenuti dietro le sbarre ma in mezzo agli avvocati, così come le donne. Era stato annunciato anche che Giuseppe Giampà avrebbe rilasciato delle spontanee dichiarazioni, ma il tutto è stato rinviato alla prossima udienza. I familiari degli imputati, fuori, attendevano notizie. Dal mattino e fino alle 19.30 c’era chi cercava di entrare, chi voleva sapere, chi credeva che si arrivasse a sentenza. C’era anche chi, dalla finestra alle spalle del giudice, cercava di farsi vedere dal parente detenuto. Durante le discussioni i familiari si avvicendano dietro la porta, in prossimità delle finestre sperando di riuscire a sentire le discussioni. In aula probabilmente si respirava malcontento, la prossima scadenza delle misure cautelari non gravate dalla metodologia mafiosa aveva lasciato sperare che in questa settimana si arrivasse a sentenza. Quando l’udienza è finita le donne della cosca si sono avvicinate allo schermo che riprende i detenuti in collegamento e hanno salutato Francesco Giampà “il professore” che, dal carcere di Opera, con un gesto delle mani ha continuato ripetutamente a salutare la moglie e le figlie Rosa e Vanessa. Il processo è stato poi rinviato al prossimo 5 aprile, per la prosecuzione della discussione di altri 3 difensori. Ed il giudice ha già indicato, per il prosieguo, le udienze del 12 aprile per le repliche del pubblico ministero e quella del 29 aprile per le contro repliche dei difensori e l’emissione della sentenza.