«Non perdonerò mai gli assassini di mio fratello, nè smetterò mai di chiedere verità e giustizia ». Maria Angela Iannazzo risponde attraverso la “Gazzetta del Sud” all’assassino di suo fratello Francesco, lametino di 28 anni, ucciso il 19 gennaio in un bar di Decollatura da Domenico Mezzatesta. L’assassino ancora latitante attraverso il nostro giornale due giorni fa aveva invocato il perdono alla famiglia di Iannazzo, ed a quella di Giovanni Vescio ucciso anche lui. Maria Angela Iannazzo, sorella della vittima, ma anche giovane avvocato, aggiunge: «Spero solo che la giustizia sia dalla parte delle vittime e non dei responsabili e dei colpevoli ». Conclude così la sua lettera triste e amara al tempo stesso, in cui smentisce che suo fratello Francesco abbia chiesto il pizzo ai Mezzatesta, che hanno reagito col piombo. Di questo sono stati accusati Francesco Iannazzo e il suo amico Giovanni Vescio, rimasti sanguinanti sul pavimento del “Bar del Reventino”. L’ex vigile urbano di 59 anni Domenico Mezzatesta s’è dileguato, suo figlio Giovanni invece è in galera per duplice omicidio volontario. Il padre adesso tenta di scagionare il figlio. La sorella della vittima nella sua lettera sostiene che «sono stati proprio Francesco e Giovanni, invece, ad essere vittime di soprusi negli scorsi mesi. La piccola ditta che avevano creato con sacrifici, che già aveva lavorato nella zona del Reventino e che ancora vi avrebbe dovuto lavorare, nei mesi passati era stata fatta bersaglio di vari atti intimidatori a danno di mezzi aziendali (c’è la denuncia alle forze dell’ordine), tanto da costringere i due giovani imprenditori a dormire nei loro cantieri per vigilare. La trasformazione di due vittime in carnefici appare pertanto surreale». Ecco perchè Maria Angela Iannazzo scrive di «calunnie e menzogne messe in piedi con una “strategia” da quattro soldi che tenta di spostare i processi sui giornali, senza che Francesco e Giovanni abbiano la possibilità di difendersi. Tuttavia ricordo a me stessa, giovane giurista abilitata alla professione forense, che la sede di un processo non può che essere l’aula di un tribunale. L’assassino si permette d’insinuare che Francesco e Giovanni avrebbero messo in atto un’estorsione in danno dei suoi congiunti. Se non fosse per l’immane tragedia che ci ha colpito, rideremmo di questa assurda ed infondata infamia di cui mai Francesco e Giovanni si sarebbero macchiati». «Perdonare chi?», si legge nel finale della lettera, «Chi tenta in ogni modo di sottrarsi alla giustizia? O chi tenta disperatamente di sottrarre suo figlio, suo complice, alla giustizia?»
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