Un intero capitolo dell’inchiesta denominata “Black money” è dedicato all’acquisizione e alla gestione dello “Shador Lounge bar” di Tropea, sito nella centralissima piazza Vittorio Veneto. Per tale vicenda, con l’accusa di concorso in intestazione fittizia di beni, sono indagati Agostino Papaianni, Ottorino Ciccarelli, 30 anni, di Tropea, e Alberto Caputo, 53 anni, di Lamezia, socio amministratore della “Eredi Caputo Salvatore & C”., con una gioielleria sul corso Nicotera di Lamezia Terme. Secondo l’accusa, Agostino Papaianni avrebbe attribuito fittiziamente a Ottorino Ciccarelli la titolarità dell’omonima ditta individuale gestrice del bar. In tale operazione di acquisizione dello “Shador”, secondo la Dda, avrebbe partecipato in maniera occulta pure Alberto Caputo. Tutto ha inizio nel gennaio del 2009 e le condotte contestate, per gli inquirenti, sarebbero state poste in essere dagli indagati per eludere le disposizioni che consentono la confisca dei beni in materia di misura di prevenzione ovvero per agevolare il riciclaggio di proventi illeciti connesse alla partecipazione ad un’associazione mafiosa di cui farebbe parte Papaianni. Ad avviso dei magistrati, quindi, nel 2009 l’esclusiva titolarità dell’intrapresa gestione del bar “Shador” sarebbe stata attribuita ad Ottorino Ciccarelli, mediante «la stipula a suo nome del relativo contratto di affitto di ramo d’azienda con la locataria “Pierre sas”», società avente sede a Tropea in piazza Vittorio Veneto e proprietaria pure di altro bar. «Proprio l'acquisizione della gestione dello Shador” di Tropea – scrivono gli investigatori – è risultata al centro degli interessi del sodalizio riferito al Raguseo e al Papaianni». Questi ultimi, ad avviso della Dda, avrebbero assunto la qualità di soci occulti nell'operazione, «unitamente a Caputo Alberto, in rapporto di contiguità con Papaianni », mentre Ciccarelli si sarebbe offerto per la formale attribuzione del titolo giuridico di esclusivo conduttore dello Shador. La costituzione della situazione di apparenza giuridica in merito alla titolarità della gestione del bar sarebbe stata realizzata attraverso la stipula del contratto di locazione di azienda datato 29 giugno 2009 tra la «Pierre sas di Preiti Roberto, in qualità di locataria, e Ciccarelli Ottorino in qualità di conduttore, fissando un canone di affitto di 25mila euro per l'anno 2009, di 36mila per l'anno 2010 e prevedendo per gli anni successivi un aumento». Pertanto, l’intera ricostruzione della vicenda, ad avviso dei magistrati «integra una progressione di fattispecie penalmente rilevanti in materia di fraudolento occultamento del patrimonio ». Le manovre poste in essere indirettamente da Giuseppe Raguseo, genero di Cosmo Michele Mancuso, e da Agostino Papainni per inserirsi nella gestione dello “Shador”, si vanno così ad innestare, secondo la ricostruzione accusatoria, in un quadro «già viziato dalla pregressa adozione di analoghe precauzioni volte ad eludere eventuali misure di prevenzione da parte di Preiti Giuseppe, originario di Rosarno, concretizzatesi nella fittizia riconduzione dello “Shador Launge Bar” in capo alla citata “Pierre sas” sul quale lo stesso Preiti è risultato comunque di fatto detenere la piena disponibilità ed esclusivo controllo ». Gli sviluppi investigativi, dunque, avrebbero offerto «piena evidenza non solo del controllo esercitato da Papaianni sul locale ma anche alla riconduzione allo stesso Papaianni della quota di partecipazione di Caputo », perché «fai conto – avrebbe spiegato nelle intercettazioni Papaianni – che qua al posto suo ci sono io». A far uscire definitivamente dall’investimento Alberto Caputo sarebbero stati, secondo gli inquirenti, i «disaccordi con i Ciccarelli », mentre i magistrati non possono che sottolineare come sin «dall'attivazione, nella gestione dello “Shador” sono state impiegate –si legge nel decreto di fermo –le forniture di alimentari e bibite della Smecal sas» di Papaianni attraverso l’impiego strumentale «di forniture comunque riferite al gruppo» criminale. Forniture che «sono risultate proseguire per tutto il periodo di indagine evidenziando – conclude la Dda – il perdurante interesse riversato dai vertici del sodalizio nella gestione dello Shador Lounge Bar di Tropea ».
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