Dinamiche criminali sviluppatesi per tutti gli anni ’80 e ’90 nell’inte - ra regione e poi sull’asse Calabria- Lombardia. Racconta un pezzo di storia criminale, con particolari anche inediti, la requisitoria del procuratore della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, al termine della quale ha chiesto condanne per 379 anni di carcere per 28 imputati che si trovano sotto processo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia nell’ambito dell’operazione denominata “Genesi”. Al centro di tutti gli affari e le alleanze, i Mancuso di Limbadi, cosca fra le più temute dell’intera Calabria e definita dalla Commissione parlamentare antimafia come il clan finanziariamente più forte d’Euro - pa. Nella requisitoria della pubblica accusa trovano quindi spazio i progetti di Giuseppe Mancuso – per il quale sono stati chiesti 27 anni di reclusione per associazione mafiosa e traffico di droga – e dei Molè di Gioia Tauro di eliminare Giuseppe Avignone di Taurianova (Rc), storico vertice dell’omonima “famiglia”. Siamo all’inizio degli anni ’90 ed il piano viene raccontato ai magistrati antimafia dal collaboratore di giustizia Vincenzo Grimaldi, decisosi a “saltare il fosso” dopo l’imposizione da parte dei Mancuso e dei Molè di una pax mafiosa fra la sua famiglia, alleata agli Asciutto ed ai Neri, in guerra con gli Avignone- Zagari-Viola. Grimaldi, dopo il brutale omicidio del padre, freddato nella piazza di Taurianova il 3 maggio 1991 con la testa tagliata, lanciata per aria e fatta oggetto di tiro al bersaglio, avrebbe cercato in ogni modo di colpire i rivali subendo però le decisioni “superiori” dei Mancuso e dei Molè che avrebbero imposto la fine delle ostilità. Il procuratore Borrelli nel corso della requisitoria racconta però del progetto di Giuseppe Mancuso e dei Molè, svelato a Grimaldi, di uccidere Giuseppe Avignone all’uscita dal carcere di Foggia nel quale si trovava all’epoca detenuto. I Molè ed i Mancuso, infatti, pensavano che Peppe Avignone fosse diventato un confidente delle Forze dell’ordine. Il dominio dei Mancuso su tutti i clan del Vibonese, si sarebbe però esteso, sul finire degli anni ’80, anche sulla città di Catanzaro. Qui, una volta eliminato Pietro Cosimo, ci sarebbe stata una sorta di divisione del capoluogo di regione: da una parte i “Gaglianesi” di Gino Costanzo con gli Arena di Isola Capo Rizzuto, storici alleati dei Mancuso, pronti a riscuotere le estorsioni sui più grossi lavori, dall’altra il clan di Limbadi che si sarebbe servito di volta in volta o dei Iannazzo di Lamezia Terme o di propri uomini direttamente spediti a Catanzaro. I Mancuso, del resto, avrebbero avuto un ruolo centrale anche nella faida di Laureana di Borrello fra i Chindamo ed i Cutellè. Il clan di Limbadi avrebbe infatti spedito propri killer accanto a quelli dei Molè e dei Piromalli per eliminare nel 1991 Vincenzo Chindamo, in risposta alla strage di Barbasana (agosto del ’90) nella quale i Chindamo avevano fatto fuori quattro elementi dei Cutellè, storici alleati dei Mancuso e dei Molè. Il “prestigio” mafioso dei Mancuso si sarebbe poi fatto sentire sin dal 1982 anche su Cosenza con “un’imbasciata” recapitata tramite Giovanni Trapasso di Catanzaro all’allora latitante Franco Perna, in guerra col gruppo rivale di Franco Pino, per ridurre la mazzetta dei boss della città bruzia ad un gioielliere cosentino che si era rivolto ai Mancuso. Il clan di Limbadi avrebbe quindi gestito buona parte del traffico di droga nell’intera Lombardia e negli atti dell’inchiesta “Genesi” si trovano pure le dichiarazioni del pentito Gerardo D’Urzo di Sant’Onofrio (VV) che ha raccontato come nei traffici di cocaina i Mancuso avrebbero coinvolto persino un giocatore di calcio del Bayern Monaco e due hostess di volo dall’Argentina a Roma.