È iniziata con un’insolita richiesta dell’imputato Luigi Notarianni la penultima udienza prima della sentenza del processo “Medusa” che si sta celebrando davanti al giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro Giovanna Mastroianni contro capi e gregari del clan Giampà. Notarianni che usualmente assiste al processo nelle celle dell’aula bunker di Catanzaro, ha chiesto al giudice di poter presenziare all’udienza seduto accanto alla madre Giuseppina Giampà, anche lei detenuta dal 29 giugno scorso. L’imputato 21enne ha affermato di non avere avuto la possibilità da dieci mesi di stare vicino alla madre perchè l’ordine di cattura è arrivato contemporaneamente per i due che non avrebbero avuto possibilità di colloquio. Il Gup, consultatosi con i capiscorta della polizia penitenziaria, ha rigettato la richiesta. Ma ha concesso a madre e figlio di potersi salutare rapidamente fuori dall’aula. Quasi tutti presenti in aula i detenuti del clan. Rimasto in ospedale invece Vincenzo Giampà, ricoverato nella scorsa settimana dopo un malore in udienza. I sanitari del “Pugliese- Ciaccio” non hanno dato l’autorizzazione al trasporto, ma Giampà non ha rinunciato a comparire. Per queste ragioni nei suoi confronti si è operato uno “stralcio virtuale”, cioè la separazione della sua posizione processuale fino a quando non rientrerà in aula. Il vivo dell’udienza è iniziato con la replica del pubblico ministero, Elio Romano. L’attenzione dell’accusa quasi verso tutti gli imputati, con il rinnovo della richiesta d’acquisizione di altri atti su cui per due volte ha detto no il Gup. Si tratta, in sostanza, di nuove dichiarazioni di imputati pentiti. Che in questo processo sono una decina. Il Pm ha sostenuto che questi nuovi documenti dovrebbero far parte del processo in quanto connotati dal requisito dell’indispensabilità. Romano ha chiaramente espresso un elogio agli avvocati difensori degli imputati sottolineando ancora una volta come le loro tesi spesso diventino occasione per ulteriori spunti. Sono seguite le conclusioni degli avvocati Lucio Canzoniere, Leopoldo Marchese, Tiziana D’Agosto, Francesco Gambardella e Francesco Pagliuso. I cinque difensori hanno nuovamente posto l’accento sull’inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia su cui, hanno sostenuto i penalisti lametini, si fondano quasi totalmente le tesi accusatorie. Infatti, nonostante gli sforzi degli inquirenti diretti a descrivere questo processo come fondato non solo su dichiarazioni di ex pregiudicati, ma con ben altre fondamenta, i difensori hanno insistito ancora una volta nel mettere in luce carenze e lacune dell’operazione Medusa. Alcuni avvocati hanno ricordato che tra i pentiti c’è anche Battista Cosentino, con precedenti per calunnia, che accusare anche uomini dello Stato come il cartabiniere Roberto Gidari, da 9 mesi nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Il pubblico ministero sulla vicenda Gidari in aula avrebbe rimarcato «come tali dichiarazioni non siano sorte spontaneamente, quindi con intento diffamatorio, bensì su sollecitazione degli operatori e degli inquirenti ». Un’affermazione non ha mancato di creare stupore in aula e negli avvocati.