Due condanne e un’a s s o l u z i one. Il verdetto della Corte d’Assise di Catanzaro è stato emesso ieri pomeriggio dopo una camera di consiglio andata avanti per circa sei ore. Il pubblico ministero della Distrettuale antimafia, Elio Romano, per i tre imputati accusati dell’omicidio di Placido Scaramozzino – parrucchiere di Acquaro scomparso il 28 settembre del 1993 e il cui cadavere non è stato mai trovato – aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Ma la decisione dei giudici è stata più leggera: Antonio Altamura, 66 anni, ritenuto il capo del “locale” di Ariola di Gerocarne e Vincenzo Taverniti, 47 anni, alias “Cenzo di Ariola” originario di Ariola di Gerocarne e attualmente residente a Stilo, sono stati condannati a 28 anni di carcere a testa. La Corte, invece, ha assolto per «non aver commesso il fatto», Antonio Gallace, di 47 anni, anche lui di Ariola. La ricostruzione di quel delitto dalle modalità mostruose è stata possibile grazie alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Enzo Taverniti e Francesco Loielo, che alla luce delle condanne emesse, sono stati ritenuti credibili. Sulla base di quelle confessioni, infatti, la Dda di Catanzaro è riuscita a fare piena luce sulla scomparsa di Scarmozzino, riuscendo anche ad accertare che la vittima sarebbe stata seppellita dopo essere stata massacrata a colpi di zappa. La Corte d’Assise (presidente Giuseppe Neri, a latere Commodaro) ha invece assolto Altamura (difeso dagli avvocati Giovanni Marafioti e Salvatore Staiano) e Taverniti (avv. Staiano) dall’accusa di «occultamento di cadavere». La sentenza, le cui motivazioni saranno rese note fra novanta giorni, potrebbe andare ad appesantire le posizioni processuali di Antonio Altamura e di Vincenzo Taverniti, entrambi coinvolti ed arrestati nell’ambito dell’operazione della Dda di Catanzaro denominata “Luce nei Boschi”. I tre imputati erano stati arrestati e finiti sotto processo per via delle confessioni dei due pentiti e nonostante le numerose questioni sollevate dalla difesa nel corso del dibattimento, tutte tese a mettere in discussione l’attendibilità dei collaboratori di giustizia, la Corte ha ritenuto Altamura e Taverniti, responsabili della scomparsa di Scaramozzino che secondo la pubblica accusa sarebbe maturata in un contesto di mafia. In base alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia il parrucchiere, che all’e p oca della sua scomparsa aveva 43 anni, dopo essere stato fermato mentre transitava a bordo della sua autovettura, fu prima fermato e tramortito con il calcio di una pistola, In seguito Scaramozzino venne legato e trascinato in un zona di campagna per essere “i n t e rrogato” in merito all’agguato teso a uno dei Loielo. Nella stessa notte, sempre secondo quanto emerso nel corso del dibattimento e sulla base delle dichiarazioni dei due pentiti, il parrucchiere di Acquaro è stato portato in una località alla periferia del paese, dove era stata già scavata una fossa. È stato fatto spogliare e colpito più volte con una zappa fino a farlo rotolare nella buca, con le mani legate e il volto all’insù. L’uomo è stato ricoperto di terra «mentre respirava ancora » per come confessato da uno dei collaboratori di giustizia.
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