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Nelle Preserre un
“cimitero” della
’ndrangheta

Il rituale era sempre lo stesso: i sospetti venivano attirati in una trappola, catturati, interrogati prima con le buone e poi in modo più violento, infine, fatti sdraiare in una fossa e uccisi. Un drammatico destino comune alle vittime sepolte nel cimitero della ‘ndrangheta nelle Preserre, la parabola di una delle quali emersa nel corso del dibattimento in Corte d’Assise a Catanzaro, che martedì ha condannato (28 anni di carcere ciascuno) Antonio Altamura, 65 anni, indicato come il capo del locale di ‘ndrangheta di Ariola e Vincenzo Taverniti, 47 anni (Cenzo d’Ariola) per l’omicidio di Placido Scaramozzino, parrucchiere di Acquaro. Assolto invece Antonio Gallace, di 47 anni. Scaramozzino come Antonio Donato. Due scomparse sulle quali le dichiarazioni rese alla Dda dai collaboratori di giustizia Francesco Loielo, di 52 anni ed Enzo Taverniti, di 37 anni (Il Cinghiale), avrebbero contribuito a fare luce a distanza di un ventennio. Dichiarazioni ritenute credibili dai giudici d’Assise relativamente al caso Scaramozzino. A segnare il destino di Donato e del parrucchiere – secondo quanto emerso nel corso delle indagini Light in the woods, condotte dalla Mobile di Catanzaro, guidata da Rodolfo Ruperti e coordinate dal sostituto procuratore generale Marisa Manzini (in applicazione alla Dda) – è nella primavera del 1989 l’agguato a Vincenzo Loielo (classe ‘47). Ferito mentre rientrava in carcere. A distanza di una settimana dall’agguato a Vincenzo Loielo – che con il fratello Giovanni avrebbe tirato le fila dei traffici nelle Serre dal 1989 al 1991–viene ucciso Antonio Donato, inizialmente ritenuto responsabile dell’imboscata. Per questo motivo Donato viene attirato in una trappola, catturato, portato in una valle e interrogato. Prima con le buone, poi picchiato. Ma non parla e allora lo si fa sdraiare in una fossa, già scavata in una radura vicino a un fiume. Non lo si elimina subito. Viene, infatti, lo accoltellato alla pancia finché non dice che a compiere l’agguato era stato un certo Raffaele. Ciò non gli salva la vita, perché il suo “interrogante” in preda all’ira gli spara un colpo di pistola in testa senza neanche dargli il tempo di chiarire a quale Raffaele si riferisse. La fossa viene poi riempita di terra e ricoperta con pietre. Nel frattempo i sospetti dei Loielo si spostano sui Maiolo. Il 18 aprile ‘98 si compie il primo agguato a Rocco Maiolo, che sfugge anche un secondo. Con lui i conti i Loielo – secondo quanto emerso dall’inchiesta della Dda – li regolano nell’aprile del 1990 quando non riesce a sfuggire alle raffiche di mitra Norinco. A cadere in quell’occasione anche Raffaele Fatiga che si becca un colpo di pistola in testa. Il 28 settembre del ‘93 è la volta di Placido Scaramozzino, uomo dei Maiolo per i quali avrebbe raccolto notizie sui componenti del gruppo Loielo e per questo era da uccidere. E la sua eliminazione – in base a quanto dichiarato da Francesco Loielo – fu decisa in modo “estemporaneo”. «Una sera mi trovavo in un terreno di mio cugino Ilario Chiera – dichiara alla Dda il collaboratore di giustizia – quando giunse mio cugino Vincenzo Loielo (assassinato in un agguato nel 2002 con il fratello Giuseppe ndr) accompagnato da Antonio Gallace. Con loro c’era Enzo Taverniti (altro collaboratore all’epoca minorenne ndr)cognato di mio cugino Vincenzo e nipote di Antonio Maiolo. Mi dissero che Placido Scaramozzino si trovava dalla moglie di Antonio Maiolo e io organizzai subito le cose per bloccarlo, al fine di interrogarlo sull’agguato ai danni di mio fratello e, sulle intenzioni, di Antonio Maiolo». Scatta così il piano di cui sarebbe stato a conoscenza anche Antonio Altamura. Francesco Loielo, Vincenzo Taverniti ed Enzo Taverniti raggiungono così la strada tra Ariola e Ponte dei cavalli, passaggio obbligato per Scaramozzino nel tragitto dalla casa della moglie di Maiolo (l’uomo all’epoca era detenuto in Germania e Scaramozzino le aveva portato dei soldi) ad Acquaro. A Enzo Taverniti viene dato il compito di aspettare in strada il parrucchiere e chiedergli un passaggio. Nel frattempo Vincenzo Loielo e Antonio Gallace – in base alle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia – raggiungono con un’auto un luogo in attesa d’essere chiamati dopo aver bloccato la vittima. «Il piano per bloccare Scaramozzino era il seguente – spiega agli inquirenti Francesco Loielo –: Enzo Taverniti lo avrebbe atteso sulla strada asfaltata che congiunge Ponte dei cavalli ad Ariola fingendo di chiedergli un passaggio . Io e Vincenzo Taverniti ci saremmo appostati lungo un sentiero, vicino alla strada asfaltata per bloccare Scaramozzino quando si sarebbe fermato. Io ero armato con una colt 357». E i fatti, secondo la ricostruzione dei due pentiti, si sarebbero svolti come programmato. Il parrucchiere, infatti, visto il giovane si ferma. Enzo Taverniti entra e tira il freno a mano. Quasi contemporaneamente arriva Francesco Loielo che apre lo sportello e colpisce con il calcio della pistola Scaramozzino, senza dargli il tempo di reagire. «Nel frattempo giunse a piedi mio cugino Vincenzo – racconta ancora il collaboratore – e lo Scaramozzino fu prelevato e accompagnato in un sentiero sottostante la strada asfaltata...». Gallace e Vincenzo Loielo avrebbero poi provveduto a spostare l’auto del parrucchiere, mentre Enzo Taverniti – il quale si era accorto che il parrucchiere aveva perso una scarpa – la recupera e la getta in una scarpata. «Legammo lo Scaramozzino con le mani dietro al corpo–prosegue nel suo drammatico racconto Francesco Loielo – e io gli dissi se sapeva chi fossi, aggiungendo che ero quello che andava cercando...». E sul punto Enzo Taverniti dichiara: «Sentii lo Scaramozzino, che nel frattempo si era ripreso, che spaventato chiedeva alle persone che lo avevano afferrato che cosa volessero da lui. Vidi Franco Loielo che gli infilava un fazzoletto in bocca per non farlo gridare...». Dopo averlo legato – mentre è alle prese con la corda Francesco Loielo si ferisce con un coltello e Vincenzo Taverniti va a prendergli il necessario per medicarlo, tornando poi assieme ad Altamura – il parrucchiere di Acquaro, che indossava una tuta blu –viene portato, attraverso la campagna, ad Ariola e fatto sdraiare per terra a faccia in giù. Il collaboratore si medica e dopo Scaramozzino, sempre legato, viene portato in un casolare di pietra. «Io, Altamura e Vincenzo Taverniti – racconta Francesco Loielo – portammo lo Scaramozzino, sempre legato, in un casotto di pietra, che si trovava nei pressi e io iniziai a interrogarlo . Gli chiesi notizie sull’agguato che aveva subito mio fratello e lui rispose che non ne sapeva niente... Gli chiedemmo anche cosa faceva dalla moglie di Antonio Maiolo e lui rispose che era andato a portargli dei soldi per il marito detenuto in Germania ». Dopo circa un’ora l’interrogatorio ha fine e la vittima viene portata, attraverso un sentiero, verso la montagna, sopra Ariola. «Camminammo per una mezz’ora forse più e arrivammo su una stradella non asfaltata e scendemmo per un viottolo (circa 20-30 metri) – evidenzia ancora il collaboratore rispondendo alle domande degli inquirenti – giungendo nella zona dove poi io ho condotto la polizia, su un terrazzamento. Altamura restò lì, mentre io, Vincenzo Taverniti e Scaramozzino scendemmo per una scarpata raggiungendo una piazzola normalmente utilizzata per preparare le carbonaie. Lì – prosegue il pentito – Vincenzo Taverniti iniziò a scavare utilizzando una zappa e un piccone che aveva portato con sé quando era tornato con Altamura. A quel punto spogliammo Scaramozzino, lasciandolo con gli slip, e lo mettemmo nella buca a faccia in su. Gli chiesi quali fossero i suoi meriti e lui mi rispose che era un camorrista, aggiungendo che portava in copiata qualcuno dei Primerano e qualcuno dei Maiolo. Taverniti mi invitava a sparagli, ma temendo si potesse udire l’eco dello sparo gli detti due colpi di zappa, colpendolo prima al petto e la seconda alla testa, uccidendolo ». Solo in seguito Enzo Taverniti apprenderà che Placido Scaramozzino era stato sepolto mentre ancora respirava. I suoi abiti bruciati e gli oggetti che aveva con sè (portafogli, orologio e catenina) sotterrati lungo la strada.  

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