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Traffico in tilt per
colpa della prostituta

 Creava «intralcio e pericolo alla circolazione». Domenicana, bella e disponibile, aveva trasformato un appartamento poco distante dalla Statale 106 in una casa d’appuntamenti: per questo era diventata un «pericolo per la sicurezza e la tranquillità pubblica», almeno secondo la Questura. A suo carico era stato perciò formalizzato un “foglio di via obbligatorio” nel Comune di Varese, con divieto di ritorno dalle nostre parti per almeno tre anni. Era esattamente un anno fa e l’intervento della Polizia innescò un contenzioso definito dal Tar, proprio in queste ore, con sentenza favorevole alla prostituta. La ragazza, difesa dagli avvocati Arturo Bova e Antonio Lomonaco, ha infatti impugnato l’ordine di lasciare la Calabria. E i giudici amministrativi le hanno dato ragione, dopo aver già - nei mesi scorsi - sospeso la validità del “foglio di via” in attesa della sentenza di merito. Nel ricorso, gli avvocati Bova e Lomomaco hanno dedotto «l’eccesso di potere» e la presunta «violazione degli articoli 1 e 2 della legge n. 1423 del 1956, in quanto nel nostro ordinamento la prostituzione non è punita come reato e, pertanto, non è possibile adottare misure di prevenzione sul solo presupposto dell’esercizio di detta attività. Nel caso di specie – continuava il ricorso – il provvedimento gravato si limita a rilevare che l’appartamento ove la ricorrente esercita attività di meretricio è sito nelle vicinanze della Ss 106, così creando intralcio e pericolo alla circolazione: da ciò desume la pericolosità per la sicurezza e la tranquillità pubblica della ricorrente ». Una tesi che evidentemente ha convinto il Tribunale amministrativo regionale, secondo cui «presupposto per l’adozione della misura del foglio di via obbligatorio è che il destinatario rientri in una delle tre categorie previste dall’articolo 1 della legge 1423 del 1956, ossia sia persona abitualmente dedita a traffici delittuosi, viva abitualmente dei proventi dell’attività delittuosa, ovvero sia dedita alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica». E a ciò, continua il Tar, «deve poi aggiungersi un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica». Dunque, considerato che «lo svolgimento dell’attività di prostituzione non consente di per sé di ricondurre l’interessata ad una delle categorie di persone indicate dalla normativa in materia di misure di prevenzione», il meretricio a fini di lucro personale «in quanto attività lecita ancorché immorale – si legge nella sentenza – può essere qualificato come pericoloso per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità solo allorquando esercitato con particolari modalità, quali ad esempio l’adescamento, l’ostentazione scandalosa, le molestie ai passanti, i clamori e gli assembramenti idonei a provocare litigi, gli atti osceni in luogo pubblico e simili». Ne consegue che «l’allontanamento con foglio di via obbligatorio non è lo strumento di regola deputato per intervenire sul fenomeno della prostituzione e, pertanto, il provvedimento ba- Un blitz anti-prostituzione in un’immagine d’archivio sato su una siffatta motivazione deve dare contezza delle concrete modalità di esercizio del meretricio, dell’eventuale continuità di tale condotta e di ogni altro elemento utile in ordine alle condizioni di vita dell’interessata, onde desumerne l’apprezzabile possibilità che la stessa sia incline alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica». Nel caso specifico, invece, secondo il Tar, «il provvedimento si è limitato a desumere la pericolosità della ricorrente, per la tranquillità e la moralità pubblica, dalla circostanza che la stessa esercitava attività di meretricio e da essa traeva sostentamento economico, nonché dal fatto che detta attività era esercitata presso un appartamento sito nelle vicinanze della Ss 106, in modo da determinare grave pericolo per la circolazione stradale. Tale motivazione – tirano le somme i giudici – non può costituire il fondamento di un provvedimento di rimpatrio, sia perché, come si è detto, la prostituzione non può, di per sé, essere qualificata attività pericolosa per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità, se non venga esercitata con particolari modalità, sia perchè travisa il concetto di sicurezza pubblica per il quale tale provvedimento può essere assunto, che non può certo identificarsi con il mero pericolo per la circolazione stradale». Il caso è serio, ma la battuta viene spontanea: forse, per regolare la circolazione davanti alla casa della gettonatissima prostituta, sarebbe bastato un semaforo…

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