Ricco di particolari il dossier sull’operazione “Perseo” che ha fatto scattare altri 66 arresti nella cosca Giampà venerdì scorso. Contiene anche delle sorprese, come la lettera che l’imprenditore lametino Antonio De Vito, in carcere da tempo ma finito anche lui nell’operazione “Perseo”, ha inviato il 14 novembre 2011 a Pasquale Giampà, zio del boss Giuseppe e soprannominato “Millelire” . La missiva arrivò alla casa circondariale di Terni, anche se era stata erroneamente indirizzata a quella di Ancona, dove De Vito pensava fosse rinchiuso Giampà. L’imprenditore lasciò trasparire la volontà di diventare collaboratore di giustizia e di poterlo in qualche modo «salvare». I due sono stati condannati per aver chiesto il pizzo di 1.200 euro al commerciante Rocco Mangiardi che vende autoricambi in Via del Progresso. Ecco cosa scrisse De Vito a Giampà: «Caro fratello mio, ti scrivo a malincuore per tutto ciò che sta succedendo, le cose per te sono messe male, e solo io posso salvare te, me e la tua famiglia... Ormai tutti si stanno pentendo e solo se lo faccio anch’io alleggerisco la tua posizione dicendo la verità, che Giuseppe (Giampà, ndc) ti obbligava a fare da interlocutore nelle estorsioni, e che lui mi ha obbligato a contattare Mangiardi per incontrarsi con te, ma non nel suo ufficio. Lo avete fatto quando pascolavi le capre, e fra te e me non c’era nulla. Le società erano mie, e solo nella Cadegi Srl eravamo in società».
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