Alcune decine di immigrati del Centro richiedenti asilo (Cara) di Isola Capo Rizzuto stanno protestando contro la situazione organizzativa e di sovraffollamento della struttura. Gli immigrati sostano sulla strada statale 106 adiacente al centro di accoglienza. Sul posto sono intervenuti polizia e carabinieri che stanno controllando la situazione dell'ordine pubblico. Al momento la protesta è tranquilla e sta provocando disagi solamente alla circolazione stradale.
Il centro di accoglienza richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto ha una capienza complessiva di 1.450 posti ma per effetto dei numerosi sbarchi le presenze sono maggiori. Il centro di Isola Capo Rizzuto, il più grande d'Europa, è stato aperto una quindicina di anni fa, in occasione dell'emergenza legata agli sbarchi degli albanesi. La struttura è gestita dai volontari della Misericordia. Da una decina di giorni la struttura adiacente al Cara, il centro di identificazione e di espulsione (Cie), è stato chiuso perché è stato devastato durante una rivolta avvenuta dopo la morte per malore di un immigrato marocchino avvenuta il 10 agosto scorso.
"Già in passato il Cie di Crotone era stato oggetto di rivolte, e rispetto a quei fatti, che oggi si sono ripetuti tanto da portare alla chiusura del Centro, il giudice di Crotone ha assolto gli 'ospiti ' accusati di danneggiamento in ragione delle condizioni disumane riservate agli immigrati, tali da rendere giustificata e comprensibile la ribellione". Lo sottolinea l'Unione camere penali (Ucpi), ricordando che "due mesi fa era stata proprio l'Ucpi a denunciare la persistenza nel centro calabrese della intollerabile situazione di illiceità e violazione dei diritti umani, situazione purtroppo comune a quella di altri Cie, dei quali a questo punto dovremmo attendere e sperare la chiusura soltanto a seguito di analoghe giustificate devastazioni da parte dei reclusi, magari conseguenti al decesso di qualche migrante". "È il caso, peraltro, di rammentare - aggiungono i penalisti - che gli extracomunitari sono costretti a permanere in veri e propri lager, nei quali non vige alcun rispetto neanche delle condizioni di vivibilità previste per le carceri, nonostante gli stessi non siano detenuti, ma soltanto trattenuti per mesi in attesa di espletamento delle pratiche amministrative che consentano il rimpatrio". La prosecuzione di questi trattamenti inumani nei Cie, ai quali si affianca "l'inadempienza dell'Italia rispetto ai diritti dei detenuti, già riconosciuta dalla Cedu e non ancora risolta - conclude l'Ucpi - pone un serio interrogativo sul livello di civiltà e attenzione ai diritti dell'uomo esistente nel nostro paese".