E’ un pozzo senza fondo l’inchiesta che Squadra Mobile di Catanzaro, Ros e Dda stanno portando avanti su funzionari dello Stato infedeli che riferivano ai boss del clan Mancuso lo svolgimento di delicate indagini sulla ‘ndrina di Limbadi.
Dopo l’arresto del dirigente delle Volanti di Messina, Maurizio Lento, dal 2009 al 2011 capo della Mobile di Vibo Valentia e del suo vice dell’epoca Emanuele Rodonò le indagini si stanno allargando a macchia d’olio. Nel mirino degli inquirenti ora sono finiti anche il poliziotto Antonino Wladimiro Pititto, in servizio alla questura di Vibo ed ora sospeso dal servizio su provvedimento del gip Mellace, due finanzieri, un commercialista, un funzionario di banca ed un dipendente della prefettura di Vibo Valentia. Secondo l’accusa erano a disposizione dell’imprenditore Aurelio Maccarrone che con il nipote Antonio, genero del boss Luni Mancuso si attivava per reperire informazioni segrete sullo stato delle indagini che riguardavano la cosca. Secondo gli inquirenti proprio l’ex capo delle Volanti di Messina, il cosentino Maurizio Lento ed il suo vice Emanuele Rodonò, sarebbero stati vicini al padrino Pantaleone Mancuso. Lento in particolare è accusato di essere andato a casa del boss con la scusa di notificargli un verbale e di essersi preso un caffè con lui. Decisive per il suo arresto sono state le intercettazioni del legale dei Mancuso, l’avvocato Antonio Galati che lo definisce persona affidabile e che avrebbe indagato sui clan rivali della ‘ndrina di Limbadi evitando indagini nei loro confronti. Intanto Lento e Rodonò, detenuti nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, sono stati sentiti per rogatoria dal giudice Giovanni Maccarello. I due funzionari di polizia hanno respinto con decisione tutte le accuse avanzate dalla Procura di Catanzaro ed hanno chiesto di essere sentiti dal Gip Mellace al quale sono pronti a spiegare passo passo tutte le vicende che gli vengono contestate.
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