Il teorema della Dda stavolta è messo a dura prova. Si vuole dimostrare che il clan Giampà, che esiste secondo la prima sentenza “Medusa”, andava a braccetto con professionisti, notabili e politici della città. L’operazione battezzata “Perseo” da ieri è nella sua fase di verifica in un’aula di tribunale. Ed in un pubblico dibattimento aperto a tutti. Si tratta del primo processo dibattimentale ai presunti esponenti del clan, i cui imputati finora avevano scelto il rito abbreviato sia per poter ottenere sconti di pena sia per non apparire pubblicamente e vergognosamente in un’aula affollatissima. Come quella di ieri mattina nel Tribunale lametino, con gli imputati ammanettati a fianco delle parti civili e di alcune loro vittime del pizzo. Una bolgia infernale che soltanto la fermezza del presidente Carlo Fontanazza ha potuto contenere. Riportando ad un minimo d’ordine. Perchè l’aula “Garofalo”è piccola per un processo di mafia con 21 imputati. L’avvocato Francesco Pagliuso sia come difensore di alcuni imputati che come segretario della Camera penale ha chiesto al Tribunale di cambiare aula. Nel vicino auditorium “Campanella” per esempio. D’altronde il processo per il naufragio della Costa Concordia si è tenuto in un teatro di Grosseto, blindato all’occorrenza. Ma l’amministrazione della giustizia è senza soldi da sempre, diventa difficile spostare anche le linee telefoniche. E per un processo come il “Perseo” è necessaria una connessione protetta per la videoconferenza. I pentiti testimonieranno dalle loro sedi segrete. Nel processo il pubblico ministero Elio Romano, della Direzione distrettuale antimafia, sostiene che c’era una “zona grigia” nel clan Giampà. Nel processo partito ieri mattina con i soliti lunghi preliminari tecnici, vengono indicati il giovane avvocato lametino Giovanni “Chicco” Scaramuzzino, accusato di concorso esterno nella cosca. Avrebbe favorito il clan col suo lavoro di legale, facendogli ottenere lauti risarcimenti dalle compagnie assicurative per incidenti stradali mai avvenuti. Ma ricostruiti con grande fantasia. Incluse fittizie rotture di ossa che avrebbe certificato Carlo Curcio Petronio, all’epoca ortopedico nell’ospedale cittadino. Anche lui imputato di concorso esterno nel processo dibattimentale, che ieri non era in aula.