Imprese, investimenti finanziari, attività commerciali, immobili e altro ancora per 8 milioni di euro. Tutti beni intestati ad Antonio Gallo e ad alcuni prestanome che sono stati rintracciati uno per uno con un lavoro certosino della Dia, la Direzione investigativa antimafia catanzarese. Gallo è considerato dagli inquirenti uno degli imprenditori “puliti” collusi col clan Giampà di Lamezia Terme. Ad accusarlo, tra gli altri, il boss Giuseppe Giampà pentito da un paio d’anni che sta facendo nomi e cognomi di affiliati diretti e indiretti. Tra questi ci sono quattro imprenditori edili lametini. Oltre al quarantenne Antonio Gallo il boss pentito ha indicato Roberto Cianflone di 58 anni, Davide Orlando di 31 e Roberto Piacente di 43. Questi ultimi due sono stati condannati per concorso esterno in associazione mafiosa in primo grado. Orlando e Piacente infatti hanno scelto il rito abbreviato, ottenendo una notevole riduzione della pena. Per Gallo e Cianflone invece è in corso un processo nel Tribunale lametino per la stessa accusa. Sono i quattro imprenditori lametini finiti agli arresti domiciliari nell’operazione “Piana” a maggio dell’anno scorso. «Quella di Gallo è una notevole dimensione imprenditoriale, e dal 2009 al 2013 è riuscito ad aumentare considerevolmente i suoi investimenti, un periodo che corrisponde col suo coinvolgimento negli affari dei Giampà», ha sottolineato Gaetano Scillia, numero uno della Dia calabrese in conferenza stampa. Antonio Turi, capo della Dia catanzarese, spiega che «Gallo è un imprenditore di riferimento della cosca di Via del Progresso, ed agiva su un piano paritetico col clan accaparrandosi appalti senza badare minimamente alle regole di mercato». Fino a dire che nella zona Est lametina «queste imprese avevano assoluto monopolio ». L’imprenditore, che dal carcere è passato ai domiciliari ed oggi è perfettamente libero, aveva subito un altro sequestro preventivo mesi fa. «Adesso siamo andati a scovare i beni intestati anche a sua moglie, Giovanna Trovato», dichiara Turi, «spulciando fra una decina di conti correnti, buoni fruttiferi e proprietà». Tra queste anche una casa a Borgo Ticino, in provincia di Novara. L’investigatore antimafia: «Lo dico per far comprendere la dimensione criminale di questa gente». Michele Conte, anche lui ufficiale in prestito alla Dia, ha spiegato il lavoro di studio sulle carte. «La nostra attenzione non s’è concentrata sul braccio armato del clan lametino ma sul loro modo di fare business intessendo rapporti con le imprese apparentemente sane. Abbiamo alzato il tiro, vogliamo colpire la zona grigia». Con questa nuova operazione la Dia in Calabria chiude gli ultimi quattro anni d’attività con circa 2 miliardi di beni sequestrati. A fare un breve bilancio è stato Scillia che è partito dal mezzo miliardo di beni sequestrati dalla Dia catanzarese nel quadriennio, di cui poco meno della metà confiscati, al miliardo e mezzo sequestrato dalla Dia a Reggio, «considerata a ragione la capitale della ‘ndrangheta». Di questi ben 370 milioni di proprietà strappate alle cosche sono passati nelle mani dello Stato con la confisca. «Si tratta di tesori individuati in diverse grosse operazioni anche nel Lazio, in Lombardia e in Emilia Romagna». Tornando ai Giampà ed agli imprenditori collusi gli investigatori hanno sottolineato che le aziende più attive dell’imprenditore lametino finito sotto la loro attenzione erano la Gama Sas e la ditta individuale Gallo Antonio, con sede legale a Lamezia e dintorni. La cosca ha tenuto il controllo della zona Est della città fino al settembre 2012, poi è cominciata la sua caduta soprattutto con il “pentimento” del boss Giuseppe Giampà messo alle strette dalla procura antimafia catanzarese. È stato accusato di diversi omicidi, estorsioni e truffe, oltre che di associazione mafiosa. Al punto da non avere scelta: restare in galera a vita o collaborare per ottenere i benefici previsti dalla legge.