Ancora loro, i Mancuso di Limbadi, una delle consorterie ’ndranghetistiche più potenti e pericolose della Calabria e le loro cosche satelliti a balzare fuori dalle inchieste giudiziarie condotte dai carabinieri del Ros e dalla Dda di Milano. Al centro dell’inchiesta, che ha portato in carcere 13 indagati, due articolazioni mafiose: il gruppo facente capo alla famiglia Galati, radicato nel comune di Cabiate (Como) e zone limitrofe, espressione in Lombardia della cosca Mancuso di Limbadi e il locale di ’ndrangheta di Mariano Comense (Como) a capo del quale le indagini hanno dimostrato essere ancora Salvatore Muscatello, 80 anni (anche lui finito nell’elenco delle persone raggiunte da ordinanza di custodia cautelare) nonostante l’anziano boss fosse ancora agli arresti domiciliari per la condanna recentemente riportata, proprio per tale ruolo di “capo-locale”. A carico dei 13 indagati contestazioni che vanno dall’associazione mafiosa alla detenzione e porto abusivo di armi, nonché intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d’ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio. Secondo quanto emerso, le due organizzazioni malavitose erano ben radicate nel Comasco con diffuse infiltrazioni negli affari e nel tessuto economico lombardo, con particolari interessi nel mondo immobiliare e nei subappalti delle grandi opere strettamente connesse ad Expo 2015. Tra gli arrestati nell’opera - zione, denominata “Quadrifoglio”, anche un ex consigliere comunale di Rho, appartenente al Partito democratico (con un passato in Forza Italia e Udeur), originario di San Calogero. Secondo quanto ricostruito dalla Dda di Milano, il politico il 12 agosto del 2012 fu sorpreso a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, a casa del boss Pantaleone Mancuso, 67 anni, detto “Vetrinetta”, attualmente in carcere perché coinvolto insieme ad altri nell’ambito dell’operazione denominata “Purgatorio”. Il boss –da quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare – è uno zio acquisito del politico milanese, che all’epoca era sottoposto alla sorveglianza speciale. Sulla base della ricostruzione fornita dai carabinieri del Ros di Milano, che hanno operato sotto il coordinamento del maggiore Giovanni Sozzo, in precedenza alla guida del Ros di Catanzaro, Luigi Addisi ha sposato una Corsaro di Limbadi, figlia di Antonia Mancuso, anche lei appartenente alla “generazione degli undici” perché sorella di Pantaleone Mancuso, Luigi e Antonio Mancuso. A quella riunione avrebbero partecipato anche Antonio e Pantaleone Corsaro di Limbadi, fratelli della moglie del politico. Al centro della “discussione” la restituzione di 300mila euro che il presunto boss Antonio Galati di Mileto, che in precedenza si era trasferito nel Milanese, avrebbe dato in contanti su specifica richiesta di Addisi ad un altro personaggio per reinvestirli nell’acquisto, poi non avvenuto, di un terreno a Rho (Milano). Secondo quanto emerso nel corso delle indagini quell’incontro a casa di Pantaleone Mancuso sarebbe stato richiesto dal presunto boss Antonio Galati per sanare il debito di 300mila euro. Galati, nonostante la parentela del politico con Mancuso, in mancanza della restituzione dei soldi, sarebbe stato pronto ad un’azione violenta nei confronti di Addisi, «pur consapevole di dover poi dare delle spiegazioni» agli amici di Limbadi.
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