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Minacce a un testimone di giustizia

 Una croce fatta con la vernice rossa sul cassettone giallo della raccolta differenziata. Niente d’importante, se non fosse che il contenitore di plastica si trova accanto al condominio dove abita Rocco Mangiardi, sotto scorta da sei anni per avere denunciato i suoi estortori, additati in un’aula del Tribunale. La croce rossa potrebbe essere un avvertimento. Il regalo ricevuto alla vigilia dello scorso Natale sotto casa sua. Il commerciante d’autoricambi ha denunciato di nuovo alla polizia quella che sembra un’intimidazione indirizzata a lui. Ma gli agenti del commissariato devono ancora accertare cosa significa quella croce con la bomboletta spray, ed a chi è rivolta. Altre due croci sono state segnate sui muri del quartiere. Probabilmente stessa mano e stessa vernice. Ma questo l’accerterà la scientifica. Rocco Mangiardi, imprenditore vibonese di 60 anni, da tempo a Lamezia manda avanti il suo negozio in Via del Progresso, una zona calda fino a poco tempo fa, controllata dal clan Giampà. Nel 2006 uno degli uomini della cosca entrò nel suo negozio e gli chiese il pizzo: 1.200 euro per lo “zio Pasquale”. Si trattava di Pasquale Giampà, detto “Millelire”, nipote del boss storico Francesco detto il “Professore” da anni in carcere per omicidio. Inizialmente la vittima dell’estorsione non disse nulla, ma le sue conversazioni con la moglie proprio sulla mazzetta vennero intercettate dalle forze dell’ordine perchè nella sua auto c’era una “cimi - ce”. Era una fase storica buia della città in cui nessun commerciante che pagava il pizzo osava confessarlo. Soprattutto per paura. In certi casi qualcuno era colluso. Non è andata così per Mangiardi che ha tirato fuori il coraggio ed ha parlato dei suoi incontri con Pasquale “Millelire” ed i suoi scagnozzi. Finiti in galera nell’operazione “Progresso” e tutti condannati per estorsione mafiosa. Lo “zio Pasquale” a 8 anni in appello. Da allora è in galera. E crollò tutto il clan, perchè uno dei pezzi forti, Angelo Torcasio, cominciò a spifferare tutto nel 2011. Provocando arresti a raffica e un effetto a catena: oggi ci sono almeno 15 pentiti del clan, tra cui il giovane boss Giuseppe Giampà. Dalle estorsioni gli investigatori della procura antimafia di Catanzaro sono arrivati al traffico di droga, alle truffe e agli omicidi. Tante condanne finora, nemmeno un’assoluzione. E diversi processi sono ancora in corso. Con Mangiardi e le sue accuse fu l’inizio della fine dei Giampà. Attestati di solidarietà sono arrivati da ogni parte della città. Il sindaco Gianni Speranza: «Rinnovo i sentimenti d’amici - zia e stima a un padre di famiglia e ad un imprenditore che in questi anni ha rappresentato la Lamezia con la schiena dritta, che reagisce ed è capace di compiere grandi gesti di dignità e di libertà per amore dei propri figli e della propria comunità». Per la Cgil catanzarese «Mangiardi è l’esempio di come si possa vivere in una società a testa alta e dignitosamente». «Rocco non sarà lasciato solo», dichiara l’ex parlamentare Costantino Fittante del Centro riforme. E ricorda che «il 9 gennaio 2009 Mangiardi ha testimoniato nell’aula del Tribunale di Lamezia indicando senza esitazione l’autore delle richiesta di “pizzo”: quel giorno ha costituito uno spartiacque. È anche grazie a lui se altri imprenditori dopo hanno alzato la testa, denunciando estorsioni, contribuendo alle operazioni delle forze dell’ordine e degli inquirenti che hanno portato allo smantellamento di due delle più agguerrite cosche lametine. Tutti dobbiamo ricordare la scomunica che Papa Francesco ha rivolto ai mafiosi, e l’esortazione della Conferenza episcopale calabra: schierarci, scegliere da che parte stare, isolare la delinquenza organizzata» 

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