
Passava i “pizzini”, e non solo quelli del boss Giuseppe Giampà di Lamezia Terme. La guardia penitenziaria Luigi Petruzza, Gino per gli amici, ora si trova accusata di associazione mafiosa e corruzione. C’è anche un motivo per cui i Giampà si fidavano di lui: era lo zio di Franca Meliadò, moglie del boss lametino. Gino Petruzza era in servizio nel carcere catanzarese di Siano. Ha 52 anni e risiede a Miglierina, a metà strada tra Lamezia e Catanzaro. A parlare di lui è innanzitutto Giuseppe Giampà dopo il suo pentimento nel settembre di tre anni fa. «Ho consegnato dei “pizzini” a Petruzza che provvedeva a portare fuori dal carcere ed a consegnarli a mia moglie». Ma succedeva anche al contrario, coi “pizzini” che dall’esterno entravano magiocamente dietro le sbarre di Siano. Lo stesso boss dichiara che l’agente di polizia penitenziaria non prendeva soldi ma «piccoli favori». Per esempio, portava la sua auto messa male dal carrozziere fidato dai Giampà, Franco Trovato, che a Lamezia organizzava truffe alle compagnie assicurative simulando incidenti e certificando riparazioni mai fatte nella sua autocarrozzeria. Dove spesso s’incontravano i pezzi grossi del clan. A fare scattare le manette a Petruzza ieri sono stati gli agenti della Squadra mobile di Catanzaro guidata da Rodolfo Ruperti. Secondo il boss Petruzza non solo avrebbe fatte le “imbasciate” tra lui e sua moglie, ma anche al cugino Pasquale Giampa “Millelire” aveva fatto avere un orologio in carcere, e poi ai detenuti della famiglia Notarianni, parenti dei Giampà. Ma l’agente penitenziario andava anche oltre il parentato. Giuseppe Giampà riferisce di aver saputo in carcere che faceva favori anche ai detenuti delle cosche Grande Aracri di Cutro e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. Un altro esponente dei Giampà, Battista Cosentino, mentre era in carcere aveva saputo da Aldo Notarianni che quella guardia «era a nostra disposizione per qualsiasi cosa». Cosentino è pure pentito. E racconta agli inquirenti che Petruzza non era il solo secondino corrotto. «In generale vi posso dire», dichiara Cosentino, «che nel carcere di Siano in realtà comandano i detenuti e non le guardie penitenziarie». Il pentito si riferisce alla mobilità dei carcerati nelle celle, ai momenti “di aria”, alle docce. Ancora: «Avevamo la possibilità di comunicare liberamente tra noi e con il boss Giuseppe Giampà anche perchè le celle venivano regolarmente aperter e ci veniva consentito di muoverci nei corridoi». Anche la nipote Franca Meliadò tradisce Petruzza: «Mio zio riceveva i “pizzini” da mio marito (Giuseppe Giampà, ndr) e li recapitava a casa di mia mamma quando lei non era in casa».
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