Fracassano di botte un padre che voleva difendere suo figlio dalle prepotenze della mala, poi lo costringono a collaborare in una truffa per ottenere dall’assicurazione il risarcimento dei danni riportati nel pestaggio: ossa rotte, sfregi al viso e contusioni dovunque. Succedeva anche questo a Lamezia nel 2007, quando a comandare nella zona Est della città c’era il clan Giampà. Il malcapitato artigiano Antonio De Vito sapeva dell’esistenza del clan, ma quando ha visto il figlio malmenato da uno di loro non ci ha visto più. È andato a chiedere le motivazioni dai fratelli Trovato, che avevano un’autocarrozzeria che era il punto d’incontro tra il boss Giuseppe Giampà e i suoi affiliati. La risposta all’artigiano era ovvia: preso a martellate con una mazzetta, sfregiato col taglierino, poi calci, pugni e minacce. Fino al ricovero in ospedale. De Vito era tutto rotto e fasciato. Quale migliore occasione per organizzare una delle loro truffe alle compagnie assicurative? Pensarono quelli della cosca, con l’approvazione del capo Giuseppe Giampà. E misero in moto un sistema ben collaudato, quello degli «incidenti fasulli», così li chiama il boss pentito Giuseppe Giampà. L’incidente stradale era tutto da simulare, ma questa volta il ferito era vero, ricoverato in ospedale dopo un pestaggio da film. Estate del 2010. A picchiare duro erano stati Alessandro Trovato, il più giovane dei fratelli proprietari della carrozzeria e di alcuni locali notturni, e Francesco Gigliotti. Che sono accusati di lesioni. A “convincere” la vittima per collaborare nella truffa ci avevano pensato Franco e Luigi Trovato, con l’aiuto di Antonio Voci, tutti uomini del boss. A portare avanti la pratica assicurativa era stato Giovanni “Chicco” Scaramuzzino, giovane avvocato lametino, accusato nel processo “Perseo” di concorso esterno nel clan Giampà. Nella truffa presunta era coinvolto anche Francesco Cosentino come ipotetico conducente di uno degli automezzi dell’incidente stradale simulato. Per tutti e sette gli imputati c’è una richiesta di rinvio a giudizio da parte del sostituto procuratore antimafia Elio Romano, che sta seguendo tutti i processi in cui sono accusati gli esponenti del clan Giampà. La vittima del pestaggio e del successivo raggiro inizialmente era stata costretta ad accettare le condizioni imposte dai Trovato e da tutti gli altri. Tra l’altro a pestare il figlio era stato proprio uno dei fratelli dell’autocarrozzeria. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale per tornare a casa, l’artigiano con le ossa rotte è andato allo studio legale di Scaramuzzino per chiedere le carte e mettersi fuori dalla truffa. Ma non ci riuscì, perchè l’avvocato avrebbe informato di questo i suoi amici che andarono a casa di De Vito per convincerlo ancora una volta ad accettare le loro condizioni. Ancora minacce e intimidazioni. Finchè arrivò il rimborso dell’assicurazione Duomo per 33.500 euro. Ma al danno per De Vito s’è aggiunta la beffa. L’avvocato Scaramuzzino consegnò alla vittima del pestaggio solo 16.750 euro, perchè 12.550 li intascarono i Trovato che si sarebbero presi il fastidio di organizzare la truffa, e 4.200 euro li incassò lo stesso legale per il suo onorario. Queste le accuse contestate dalla procura antimafia. Tutte da dimostrare in un eventuale processo. Ma insieme a queste c’è l’imputazione di associazione mafiosa per i fratelli Franco e Luigi Trovato nel processo “Perseo” in corso davanti al Tribunale lametino. E l’accusa di tentato omicidio, perchè i Trovato inseguirono alcuni affiliati al clan sparandogli diversi colpi di pistola e colpendo soltanto l’auto su cui viaggiavano i loro bersagli. Ma per questo episodio si farà un altro processo.