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Nelle mani dei vibonesi le redini del narcotraffico

 Undici anni dopo l’operazione Decollo –passando per la Decollo bis e la Decollo ter, la pista transnazionale dei carichi di cocaina porta sempre nel Vibonese e pure nella Locride. E nel Vibonese la vecchia cava dove la cocaina veniva estratta dai tubi infilati in lastre di marmo, è stata “sostituita” con la “raffineria” a Panaia di Spilinga. Tempi per i pm della Dda – che hanno coordinato le indagini dei carabinieri del Ros di Catanzaro sfociate nella grande operazione Overing – scanditi dal protrarsi di una «condotta delittuosa» che, ieri e oggi, ha avuto per comune denominatore il legame «in un continuum criminale» tra i sodalizi di tipo mafioso operanti in Calabria e i Cartelli colombiani. Uno «spaccato di criminalità organizzata estremamente attuale» che vede protagonisti, insieme ai colombiani, vibonesi e reggini della fascia jonica. Sin dalle prime battute dell’inchie - sta, infatti, sarebbe emerso il ruolo di primo piano di Domenico Cino, di Spilinga, nel traffico delle sostanze stupefacenti. Negli anni ‘90 espulso dagli Usa e nel 2003 dalla Francia (per condanne inerenti gli stupefacenti) Cino avrebbe avuto stretti contatti con il colombiano Alberto Jaime Tabares Ochoa, che avrebbe ospitato in una casa rurale di sua proprietà. E proprio durante la permanenza del colombiano nel Vibonese sarebbero emersi altri collegamenti, o meglio i rapporti con Fabrizio Cortese di San Gregorio d’Ippo - na, ritenuto esponente della ‘ndrangheta vibonese, e successivamente con esponenti delle cosche jonico-reggine, nella fattispecie con Rocco Logozzo. L’indagine, sfociata nell’ope - razione Overing che ha portato a 44 arresti, ha anche fatto luce sui sistemi di comunicazione tra i calabresi e i narcos colombiani. Infatti per interloquire oltre alle normali comunicazioni telefoniche, per concordare i dettagli relativi alla spedizione di un ingente quantitativo di cocaina, comunicavano attraverso la posta elettronica, mezzo ritenuto certamente più sicuro da possibili intercettazioni. Secondo gli inquirenti l’orga - nizzazione facente capo ai fratelli Francesco e Fabrizio Cortese «vagliava, secondo criteri di praticità, sicurezza ed economicità, diverse soluzioni d’impor - tazione di stupefacente da attuare a breve e medio termine». A partire dalla seconda decade dell’agosto 2009 Fabrizio Cortese si sarebbe relazionato con un soggetto, tuttora non identificato, presumibilmente conosciuto in Spagna, con cui scambiava una fitta corrispondenza tramite l’account “pep - [email protected]”. Inoltre frequenti sarebbero stati i viaggi in Spagna per tessere collaborazioni utili all’importazione di cocaina in Europa o per incontrare un narcotrafficante colombiano indicato come “il vecchio”, verosimilmente noto come “Andres” o “vecchio di Pappo”. Tra il 5 e i 12 dicembre 2009, infine, Fabrizio Cortese e l’uomo che utilizzava l’account si sarebbero dovuti incontrare al Centro Commerciale “Due Mari” per discutere di persona dei dettagli concernenti la realizzazione del progetto finalizzato all’importazione di stupefacenti in Italia.(m.c.)

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