Catanzaro, Crotone, Vibo

Martedì 06 Maggio 2025

Il killer incastrato
da guanti di lattice

E' stato il dna isolato in guanti di lattice ritrovati sul luogo dell'omicidio a portare al fermo di Francesco Salvatore Fortuna, 36 anni, per il delitto di Domenico Di Leo, ucciso, secondo l'accusa, per contrasti interni alla cosca Bonavota di Sant'Onofrio (Vibo Valentia). Il dna isolato ai tempi del delitto è stato poi confrontato con quello di Fortuna dai carabinieri del Ris di Messina trovando, ha sottolineato ai giornalisti il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri, "una rispondenza del cento per cento tra i due corredi genetici". "Dopo dodici anni - ha detto il magistrato - siamo riusciti a fare luce, almeno in parte, su un fatto di sangue legato alla criminalità organizzata del vibonese grazie agli esami tecnico scientifici. Il fermo è stato necessario perché anni fa Fortuna si era reso latitante e il giorno dell'arresto è stato ritrovato con diverse armi". Fortuna è ritenuto dalla Dda il killer dei Bonavota e questa ricostruzione "è confermata - ha detto Bombardieri - da diversi collaboratori di giustizia, ultimo Raffaele Moscato. Il delitto Di Leo, maturato per dissidi interni alla cosca, però, non è stato commesso solo da Fortuna, quindi le indagini continuano e siamo ottimisti per la risoluzione sia di questo che di altri omicidi". Di Leo, secondo le ricostruzioni fatte dai carabinieri di Vibo Valentia "non era più gradito e doveva essere eliminato. La vittima - ha detto il colonnello Daniele Scardecchia comandante provinciale dei carabinieri di Vibo - era il genero di Antonio Bonavota che in una intercettazione ha detto: 'Se uno deve morire a un certo punto deve morire', decretando la fine di Di Leo e lasciando sua figlia sola con dei bambini piccoli". Le indagini sono state indirizzate verso Fortuna, dopo che gli investigatori hanno ascoltato le intercettazioni relative all'inchiesta delle estorsioni alla cooperativa di religiosi di Stefanaconi "Talita Tum" che nel 2011 subì il taglio di numerosi alberi di ulivo come intimidazione. "Il tempo - ha concluso il capitano Diego Berlingeri, comandante della compagnia dei carabinieri di Vibo - ci ha dato ragione. Abbiamo messo a sistema una serie di attività realizzate in periodi diversi ottenendo un successo". (AA)

leggi l'articolo completo