Il boss Giampà ha ricominciato a parlare. L’ha fatto ancora ieri in videoconferenza davanti alla Corte d’assise di Catanzaro che deve giudicare quattro persone accusate di omicidio: Vincenzo Arcieri, boss della Montagna con i Cappello, Franco Trovato proprietario di un’autocarrozzeria dove si riunivano i Giampà, Antonio Voci già condannato per omicidio, e Giancarlo Chirumbolo a cui il clan uccise il fratello Giuseppe. Tutti sono usciti dal processo “Perseo” con condanne per associazione mafiosa.
Adesso i quattro devono rispondere di sette omicidi compiuti nel pieno della guerra di mafia tra cosche in città. A cominciare dalle esecuzioni di Pietro Pulice e Nicola Gualtieri.
Giuseppe Giampà, da una località segreta, ha ricominciato a raccontare della cosca di Via del Progresso che ha diretto fino al settembre 2012, quando finito in galera per l’operazione “Medusa”, decise di collaborare con la giustizia. Come aveva fatto due anni fa nel Tribunale lametino, al processo “Perseo”, il boss pentito ha ricostruito le alleanze e le attività della cosca fondata da suo padre Francesco, chiamato il “Professore”, in galera anche per avere ordinato l’uccisione dell’ispettore di polizia Salvatore Aversa e di sua moglie Lucia Precenzano nel ‘94.
Il figlio Giuseppe faceva lo stesso. Non si sporcava le mani, ma sentenziava condanne con la sua cupola, incaricava killer, procurava armi, auto, moto e nascondigli.
Diversi black out elettrici durante l’udienza ieri hanno interrotto più volte l’udienza. Infatti il boss sarà sentito nuovamente il 17 febbraio per parlare più dettagliatamente dell’omicidio di Pulice, che risale al 2005, quando l’uomo fu portato a Bella con un pretesto e gli alleati del clan Cappello-Arcieri lo eliminarono.
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