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Vibo Marina, acqua "non potabile" da cinque anni

Vibo Marina, acqua "non potabile" da cinque anni

Se Nicotera piange Vibo Marina e Bivona certo non sorridono. Nelle frazioni costiere del capoluogo, l’acqua non è potabile ormai da oltre un lustro. Sono passati più di cinque anni da quel 17 maggio 2011 quando l’Amministrazione comunale, guidata dall’allora sindaco Nicola D’Agostino, vietò il consumo alimentare ed umano del prezioso liquido sia nelle abitazioni che nelle fontane pubbliche. Cinque anni nel corso dei quali, a differenza di quanto avvenuto a Nicotera, poche e sporadiche proteste si sono sollevate. E la più eclatante partì dalla rabbia di una turista che fece scoppiare il caso. La popolazione, abituata da decenni a convivere con un’emergenza mai risolta che affonda le sue radici nel passato, è parsa vinta, invece, da una forma di rassegnazione. I cittadini si sono accontentati di uno sgravio consistente in bolletta. Circa il 50% dei 98 centesimi per metro cubo attualmente previsti. Un contentino di poco meno di 50 centesimi/m3, che ha avuto la sola funzione di distogliere l’attenzione dal problema. Insomma, tutto tace, si tira a campare senza sussulti a differenza di quanto avvenuto a Nicotera dove la gente è scesa per strada, ha occupato il Comune, si è diretta sui binari della stazione di Rosarno, è arrivata inferocita Prefettura e ha dato l’assalto agli uffici dell’Asp come i milanesi lo diedero al forno delle grucce.

Eppure, il disagio vissuto nel capoluogo, soprattutto per quel che concerne l’acqua potabile – al mare sporco ci si è abituati da anni senza che si muova foglia – non è meno serio che nella cittadina tirrenica. L’ordinanza del Maggio 2011 scattò a seguito del ritrovamento di infiltrazioni da idrocarburi nella condotta di Longobardi, finiti poi nella rete idrica di Vibo Marina. Rete idrica che continua, è il caso di dirlo, a fare acqua da tutte le parti perchè vittima di problemi di carattere strutturale e idraulico. Ma non è facile individuare la causa del disservizio.

Come noto, i serbatoi della città capoluogo vengono gestiti quasi tutti dalla Sorical. Il Comune, pertanto, è responsabile esclusivamente del “percorso” compiuto dall’acqua dall’uscita dei serbatoi fino al punto di allaccio dei privati. Di conseguenza, bisogna capire quale sia la qualità del liquido immesso nei serbatoi per arrivare alla radice del problema. Un rebus, quest’ultimo, tutto da risolvere, al di là della querelle tra uffici. Da un punto, ad ogni modo, si può partire: senza dubbio la rete idrica resta desueta.

Trattandosi, peraltro, di un sistema a circuito “aperto”, è inevitabile che, con il gioco delle pressioni, l’acqua venga irrorata in più punti. Le reti più moderne sono, invece, a circuito chiuso; quindi, qualora si verifichi un guasto è possibile agire in un’area molto più limitata. Per ovviare a tale deficienza strutturale, nell’era Scopelliti, era stato messo a punto un bando regionale. Ma a tutt’oggi pare sia da verificare la sua copertura finanziaria.

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L’inchiesta

Sono sedici le persone coinvolte

Sono sedici le persone coinvolte nell’inchiesta denominata “Acqua sporca”, coordinata dal sostituto procuratore Michele Sirgiovanni. A carico degli indagati ipotesi di reato che vanno dall’avvelenamento colposo di acqua, agli inadempimenti contrattuali, dal falso all’interruzione di servizio, alle omissioni. Al centro delle indagini, sfociate nel sequestro preventivo dell’invaso dell’Alaco il 17 maggio 2012, la gestione delle acque da parte di dirigenti e tecnici della Sorical, delle Asp di Vibo Valentia, Catanzaro e dell’Arpacal, nonché amministratori e sindaci di comuni serviti dalla condotta proveniente dall’invaso, ubicato nell’area delle Serre (Brongnaturo). L’inchiesta avviata dalla Procura di Vibo, come si ricorderà, è nata su input di alcune denunce, ma soprattutto per le proteste di una donna arrivata in pieno agosto da Milano che ha rotto ogni indugio e dato un calcio alla cronica indifferenza che in genere caratterizza non solo i cittadini, ma molto spesso pure gli amministratori.

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