«C’è un filo rosso che unisce gli omicidi di Pietro Pulice, Bruno Cittadino, Nicola Gualtieri e Giuseppe Chirtumbolo». Comincia così Elio Romano la sua requisitoria contro l’autocarrozziere Franco Trovato, il presunto boss della Montagna Vincenzo Arcieri, e lo spacciatore di droga Antonio Voci. Per tutti chiede l’ergastolo alla Corte d’assise di Catanzaro presieduta da Alessandro Bravin.
Quando pronuncia la parola “ergastolo” c’è un breve sussulto nell’aula. Un’anziana tra il pubblico scoppia a piangere ed esce fuori disperata per un figlio molto vicino al carcere a vita.
Al pubblico ministero sono bastati 50 minuti per descrivere il contesto in cui sono maturati i quattro omicidi al centro del processo. Elio Romano, sostituto procuratore antimafia: «Negli ultimi quattro anni si è disvelata tutta la situazione della criminalità lametina dal 2000 al 2011»- L’accusa spiega che tutto è partito dall’arresto del boss Giuseppe Giampà per l’estorsione all’imprenditore Giuliano Caruso. Poi la pioggia di penti, da Angelo Torcasio collettore delle estorsioni, allo stesso giovane boss.
I quattro omicidi di questo processo sono tutti di mafia. Mandanti ed esecutori sono condannati in appello. Alcuni sono pentiti e in regime di protezione hanno confessato tutto. Adesso sono imputati i tre che hanno avuto un ruolo secondario nelle esecuzioni delle sentenze emesse da Giampà. Nessuna condanna invece viene chiesta dal Pm per Giancarlo Chirumbolo, fratello di una delle vittime, perchè ad accusarlo è un’unica fonte, il boss Giampà, e le sue dichiarazioni non sono riscontrabili dalle investigazioni, nè confrontabili con quelle di altri collaboratori di giustizia. Come dire: non basta la sola parola del boss per condannare un imputato.
Chirumbolo avrebbe fatto da “specchietto” nell’omicidio di Bruno Cittadino, ammazzato in Via Duca d’Aosta da Francesco Vasile. Avrebbe in sostanza fatto uno squillo al killer per segnalare la presenza della vittima predestinata nel posto indicato, cioè davanti a un’agenzia di pompe funebri. Ma nessuno può dimostrarlo. Chirumbolo, che ha ricevuto altre condanne, questa volta dev’essere assolto, secondo l’accusa.
Non è così, invece, per Franco Trovato che avrebbe messo a disposizione un suo locale vicino casa di Giuseppe Chirumbolo da dove sarebbe partito il commando che l’ha ammazzato di sera. Su questo convergono diverse rivelazioni di pentiti.
Ergastolo anche per Vincenzo Arcieri che avrebbe attirato in una trappola il suo amico Pietro Pulice. Nella stalla dell’altro boss della Montagna, Rosario Cappello, sopra Bella, Pulice è stato ucciso da Saverio Cappello, figlio del boss. L’ha ammesso lui stesso dopo essersi pentito. La sua pistola aveva il silenziatore. Poi il corpo di Pulice fu ficcato nel bagagliaio della sua Fiat Stilo, portato in campagna e bruciato.
Il quarto omicidio riguarda Nicola Gualtieri. Fu ferito in un agguato in Via Conforti. Era di sera e stava andando da casa sua al carcere di San Francesco perchè era in libertà condizionata e doveva dormire in cella. I Giampà lo sapevano. Anche Antonio Voci. Per il quale adesso viene chiesto l’ergastolo.
I nomi di queste vittime erano scritti nella «lista nera» di cui parla Pasquale Giampà “Millelire”, zio del boss Giuseppe, pentito dell’ultima ora. La sua testimonianza è stata sentita in aula. Le sue dichiarazioni combaciano con quelle di altri pentiti.
Nella prossima udienza paola alla difesa. Gli avvocati Salvatore Staiano, Leopoldo Marchese, Anselmo Torchia, Vincenzo Galeota faranno le loro arringhe. A dicembre la sentenza.