Funerali all’alba e in forma privata per il boss di Vibo Valentia Carmelo Lo Bianco, 71 anni, noto come “Sicarro”. A disporlo il questore Filippo Bonfiglio a seguito del decesso dell’esponente di primo piano della cosca egemone nel comune capoluogo che si è spento, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni dopo un malore che lo aveva colto circa un mese fa, nell’ospedale civile di Catanzaro dove si trovava ricoverato.
Con la morte di Carmelo Lo Bianco “Sicarro” (condannato a 10 anni per associazione mafiosa) l’omonima cosca, fedele alleata dei Mancuso di Limbadi, perde un’altra figura storica. A reggere le redini del gruppo, infatti, sarebbero stati i cugini omonimi Carmelo Lo Bianco, alias Piccinni (deceduto nel marzo 2014) e Carmelo Lo Bianco “Sicarro”. Quest’ultimo – secondo quanto emerso dall’inchiesta New sunrise (Nuova Alba) attraverso cui circa nove anni fa la Dda ha assestato un colpo senza precedenti alla famiglia di ‘ndrangheta di Vibo Valentia – sarebbe stato al vertice di un ramo autonomo della cosca e in più occasioni avrebbe espresso il suo dissenso verso la “politica” del cugino. In pratica i boss Piccinni e Sicarro rappresentavano in un certo qual modo i due volti del modus operandi della “famiglia” vibonese, una cosca dalla doppia faccia. Perché da una parte si sarebbe stati sempre pronti ad agire, imponendo e pretendendo tutto, strozzando e costringendo a pagare chiunque, imponendo la mazzetta a tappeto anche con la violenza e la forza di intimidazione. Dall’altra, invece, chi non digeriva il modo di gestire la “società” secondo le regole di Piccinni. Don Carmelo Sicarro, infatti, a differenza del cugino riteneva che l’organizzazione dovesse puntare sui grandi appalti e non spremere i piccoli artigiani e i commercianti, ma soprattutto il “capo” avrebbe dovuto pensare meno a se stesso.
Negli anni ‘90 il boss “Sicarro” fu arrestato, processato e condannato per il riciclaggio di denaro proveniente da due sequestri di persona avvenuti nel Reggino. Nel corso della sua detenzione scomparve nel nulla il figlio Nicola di 28 anni, titolare di un’impresa termoidraulica. Un caso a oggi non ancora risolto.