Catanzaro, Crotone, Vibo

Domenica 24 Novembre 2024

Duplice omicidio, assolto dopo sette processi

Duplice omicidio, assolto dopo sette processi

Contrasti evidentemente «insanabili» sul duplice omicidio di Angelo Cravè, 42 anni e Giuseppe Campese di 35, eliminati a colpi di pistola calibro 9 e di fucile calibro 12 la mattina del 18 febbraio 2008 a Serra San Bruno.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli avvocati Giuliano Dominici e Alfredo Gaito ed ha assolto, e questa volta in via definitiva, «per non aver commesso il fatto» Vito Gallè, 50 anni di Serra San Bruno. Si chiude, pertanto, uno dei processi più complicati andato avanti per circa otto anni e combattuto a colpi di testimonianze e perizie balistiche, sentenze, opposizioni e ricorsi che hanno finito per convincere la Suprema Corte a mettere finalmente la parola fine.

Vito Gallè, infatti, è stato assolto dopo ben sette processi che si sono conclusi il primo nell’ottobre del 2010 con una condanna a ventidue anni di carcere; in quell’occasione i giudici hanno riconosciuto colpevole l’imputato del duplice omicidio dei cognati Angelo Cravè e Giuseppe Campese e del tentato omicidio nei confronti di Antonio Tassone, divenuto successivamente unico testimone oculare di quel massacro. Avverso quel verdetto la Corte di Assise d’Appello di Catanzaro nell’aprile del 2011 ha alleggerito la condanna (diciotto anni) escludendo il tentato omicidio nei confronti di Tassone. Il caso però è arrivato in Cassazione che nel gennaio 2013 ha annullato e rinviato tutto ai giudici di secondo grado ravvisando che le tesi sostenute dal testimone non erano sovrapponibili con le risultanze obiettive. In pratica il Tassone sosteneva che a sparare erano stati i figli e non il papà Rocco Salvatore Gallè che coinvolto nel gravissimo fatto di sangue aveva confessato il duplice omicidio. Processato in abbreviato davanti al Gup era stato condannato a dodici anni di reclusione, mentre il figlio Bruno Gallè era stato assolto sia in primo che in secondo grado.

Il processo a Vito Gallè pertanto è tornato davanti ai giudici della Corte di Assise d’Appello per come disposto dalla Cassazione e nell’ottobre 2013 la Corte lo ha condannato ancora una volta a 19 anni, ritenendo credibile la testimonianza di Antonio Tassone, addebitando il duplice omicidio ai fratelli Vito e Bruno Gallè e spiegando che il padre sarebbe stato contaminato dalle polveri da sparo solo perché effettivamente la mattina del massacro si trovava vicino ai figli. Un verdetto che è stato impugnato ancora una volta e che la Suprema Corte ha rispedito al mittente, accogliendo il ricorso degli avvocati Dominici e Gaito, sempre dinnanzi ai giudici d’Appello di Catanzaro. E così nell’ottobre del 2015 i giudici di secondo grado si sono sempre trovati di fronte l’interrogativo di sempre: chi è stato a sparare contro i cognati Angelo Cravè e Giuseppe Campese? La risposta è stata sempre la stessa: Vito Gallè unitamente al padre Rocco Salvatore Gallè, confermando pertanto la condanna a 19 anni di carcere.

Una sentenza che gli avvocati della difesa non hanno mai mandato giù al punto da riproporre per la terza volta ricorso sempre dinnanzi alla Corte di Cassazione che questa volta ha apposta il timbro definitivo: non è stato Vito Gallè a compiere quel duplice omicidio. I contrasti sempre ravvisati dalla Suprema Corte di fatto non sarebbero stati superati, anche se bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza per meglio capire il travagliato di questo lunghissimo processo e quali possano essere ancora i lati oscuri di questo intricata vicenda giudiziaria.

Secondo quanto emerso nel corso delle indagini a scatenare l’ira omicida di Rocco Salvatore Gallè – l’anziano genitore di Vito e Bruno condannato in via definitiva a 12 anni che rimane alla luce del verdetto della Cassazione l’unico colpevole di quel gravissimo fatto di sangue – è stata una controversia per il passaggio in una proprietà.

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