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Cosche lametine particolari, diverse dalle altre calabresi

Cosche lametine particolari, diverse dalle altre calabresi

«Quella mattina sono stato svegliato da una telefonata della polizia: hanno ammazzato l'avvocato Pagliuso. Non ho più chiuso occhio. Ho avuto una reazione dura: allora a Lamezia non cambierà mai nulla». Elio Romano racconta com'è andata all'alba del 10 agosto scorso. Quella notte il quarantenne penalista Francesco Pagliuso è stato ucciso in un agguato mafioso nel giardino di casa sua, nel cuore di Lamezia Terme. Il sostituto procuratore antimafia che si occupa da quasi vent'anni dei clan del Lametino, ed ha fatto arrestare tutti i boss delle famiglie storicamente più influenti, ha avuto un momento di scoramento.

Crede sia stato vanificato in un attimo tutto il lungo lavoro della Dda catanzarese in quel territorio?

«Non lo credo, ma quando succedono cose di questa gravità capisci che non puoi mai abbassare la guardia. Quando sembra raggiunto un punto fermo ti accorgi che c'è un male che si rigenera da solo».

Perchè?

«Le radici sono sociali e culturali, non si possono recidere completamente con la repressione della magistratura, per quanto possa essere efficace». L'omicidio dell'avvocato è mafioso?

«S'inserisce in un contesto dove sono state fatte delle azioni repressive contro le cosche lametine. ti fa capire che, così come avvenute per altri omicidi, hai degli spazi per riuscire a capire quanto è avvenuto quella notte».

Mi pare d'intuire che avete una pista.

«Non posso dirle nulla, ci sono indagini in corso. La nostra azione non si ferma a questo omicidio eccellente, ci saranno risposte sicuramente. Ragionando in maniera ottimistica, rispetto al passato si parte da una base differente, mentre prima del 2004 si partiva dal nulla».

Si parte dal fatto che in città sono state decapitate le tre cosche storiche segnalate dalla Dia: Giampà-Cappello, Torcasio-Cerra-Gualtieri, Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Crede sia un caso unico in Calabria?

«Questi clan hanno subito la stessa sorte. Non credo sia successo altrove finora. Quanto avvenuto dal 2011 a Lamezia è un unicum nella 'ndrangheta con le voci dall'interno, un po' come accadde per il terrorismo in Italia».

Si spiega il perché di queste "voci dall'interno", di tutti questi pentiti, almeno una ventina?

«Le cosche lametine hanno una caratteristica particolare: non c'è una definitività nelle contrapposizioni. Dal 1980 in poi si nota un loro assetto variabile, cosche per tanto tempo unite si spaccano. Prima i Giampà dividevano il territorio con i Torcasio, poi il divorzio, e gli Iannazzo che prima si alleano con i Torcasio poi diventano acerrimi nemici, e fanno un accordo con i Giampà».

Insomma cade la tesi dei mafiologi secondo cui la 'ndrangheta non è come la mafia e non ci possono essere pentiti perchè le cosche calabresi sono a regime familiare?

«Sì, viene smentito dai fatti l'assioma familiare».

Cos'è scattato nella testa degli 'ndranghetisti che collaborano con la giustizia?

«Si sono aperte delle crepe all'interno delle famiglie».

In che modo?

«Faccio un esempio. Il primo pentito a Lamezia non è Angelo Torcasio, come si legge spesso sui giornali. Ma è Giuseppe Angotti, ex marito di Rosanna Notarianni. La famiglia di quest'ultima è molto legata ai Giampà. Angotti è cognato di Aldo Notarianni, che ha confessato un omicidio anche se non pentito. Questa è stata la prima crepa».

Cos'ha fatto Angotti?

«Ha riconosciuto la voce del cognato Aldo Notarianni in una registrazione degli inquirenti fatta mentre stavano uccidendo il giovane Roberto Amendola. L'hanno bruciato vivo nella sua macchina. Quelle parole degli assassini ancora mi girano ancora in testa. Nell'auto della vittima c'erano le microspie perchè Amendola era sospettato di alcune rapine in città. Messo alle strette, in appello Notarianni ha confessato».

Dopo quel pentito?

«S'è innescato un gioco di domino. Viene arrestato Angelo Torcasio con altri esponenti del clan Giampà. E Torcasio comincia a parlare. Poi il boss Giuseppe Giampà, figlio del "Professore". Ognuno porta alla magistratura nuovi elementi di prova che vengono puntualmente riscontrati dalla polizia giudiziaria».

Dagli inizi del 2000 al 2011 una catena interminabile di omicidi in città. Qual è stato quello che le ha fatto più impressione?

«Quello di Amendola nel 2008. Era vivo quando l'hanno bruciato, gli è stata trovata fuliggine nei polmoni, significa che l'aveva inspirata. Anche l'assassinio di Giovanni Gualtieri ucciso mentre giocava a carte in una sala biliardi. C'è stata una carneficina a Lamezia dopo il processo "Primi passi" nei primi anni del 2000». La musica però adesso è cambiata a Lamezia e dintorni?

«Dal 2011 ci sono stati degli omicidi ma sicuramente non a cadenza settimanale come avveniva prima».

Crescono le nuove leve oppure i clan storici si rigenerano?

«Tutte e due le cose. I clan hanno bisogno di reperire fondi per le famiglie dei detenuti e per gli avvocati. Ma finora i fenomeni delinquenziali in città sono sotto controllo, l'abbiamo dimostrato con gli arresti».

Nonostante boss e gregari siano in galera, gli imprenditori lametini continuano a non parlare?

«C'è una maggiore apertura da parte loro. Quelli di vecchia generazione hanno una mentalità ancorata a determinati schemi. È uno stato mentale. Sarebbe importante un ricambio culturale».

Le cosche storiche in decenni di attività sporche hanno accumulato tesori che restano ancora nascosti?

«Tra tanti immobili sequestrati in città c'è anche un centro commerciale. Abbiamo chiesto ai collaboratori di giustizia se ci sono tesori nascosti, ma la risposta è stata negativa. Gli accertamenti patrimoniali sono complessi, ma la nostra attività continua anche su questo fronte».

Nelle vostre operazioni sono rimasti coinvolti due politici, uno dei quali assolto, 3 avvocati, uno solo condannato, qualche imprenditori ed un medico. Tutta qui la zona grigia a Lamezia?

«Non c'è stato un mancato interesse della magistratura verso la zona grigia. Tutto quello che è emerso da fonti di prova è stato fatto. La condanna del politico comunque è un unicum storico per quanto riguarda Lamezia. Le assicuro che non ci sono precedenti in questo senso».

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Ha detto

Effetto domino

«Il primo pentito a Lamezia è stato Giuseppe Angotti e non Angelo Torcasio come comunemente si pensa».

«Le cosche lametine a differenza delle altre calabresi sono ad assetto variabile, cambiano di continuo le alleanze».

«La condanna per mafia di un politico locale non ha precedenti nella storia lametina».

«Non ci sono tesori nascosti dai clan lametini, nessun pentito ce l’ha indicati».

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