La Procura generale di Catanzaro ha presentato ricorso in Cassazione contro l’assoluzione del senatore del Nuovo Centrodestra Piero Aiello, coinvolto nell’inchiesta antimafia “Perseo” condotta dalla Dda del capoluogo. Il verdetto impugnato risale allo scorso 30 novembre, quando la Corte d’Appello di Catanzaro (presidente Giancarlo Bianchi) ha confermato l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” decisa dal gup il 26 ottobre del 2015.
La parola passa dunque alla Corte di Cassazione, che dovrà fissare un’udienza per esaminare l’appello. Sarà il terzo passaggio davanti a un giudice terzo del procedimento penale innescato dall’accusa di voto di scambio: secondo la Dda, Aiello avrebbe stretto accordi con il clan Giampà di Lamezia Terme in occasione delle elezioni regionali del 2010 (per la stessa vicenda è tuttora sotto processo il secondo indagato, l’avvocato lametino Giovanni Scaramuzzino), quando l’attuale senatore raccolse oltre 10mila 400 preferenze e risultò il sesto tra gli eletti del Pdl. Una tesi alla quale si è sempre opposto con forza il parlamentare del Ncd, difeso dall’avvocato Nunzio Raimondi che è riuscito a ottenere già due pronunce assolutorie.
L’impianto accusatorio si fonda sostanzialmente sulle dichiarazioni dei pentiti Saverio Cappello e Giuseppe Giampà, da cui - secondo la Procura - risulterebbe l’impegno personale di Aiello nel presunto accordo per ottenere voti in cambio di utilità in vista delle consultazioni elettorali. Accuse infondate sia secondo il giudice delle indagini preliminari che per la Corte d’Appello, secondo cui «la sovrapposizione in senso accusatorio dei narrati dei due collaboratori, lungi dall’essere frutto di una naturale e primigenia convergenza (come tale al più suscettibile di minime precisazioni), ha costituito il faticoso approdo di reiterate audizioni che hanno finito per compromettere irrimediabilmente - se non altro in parte qua - la genuinità dei racconti».
Ci sarebbero stati due incontri “compromettenti”. Ma sul punto le dichiarazioni del boss Giuseppe Giampà e del suo killer reo confesso Saverio Cappello non sono univoche, come rimarca la stessa Corte d’Appello nelle motivazioni della sentenza che conferma l’assoluzione di Aiello: «Neanche i due interrogatori conclusivi possono fungere da rassicurante composizione delle discrasie laddove si registrano, da parte di entrambi i collaboratori, evidenti tentativi di giustificare ora le persistenti aporie circa il numero e l’identità degli astanti, ora il diverso contegno attribuito ad Aiello (che se anche non aveva promesso espressamente, si era fatto capire». E comunque sia, secondo i giudici di secondo grado, «ancora oggi non si riesce a capire dove, quando e al cospetto di chi essa (la promessa di utilità per il clan, ndr) fu esplicitata».