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In manette i due “bombaroli” di Lamezia

In manette i due “bombaroli” di Lamezia

L’impronta di una mano su un’auto, un parka verde, le riprese di telecamere di sorveglianza, le intercettazioni telefoniche. Quattro elementi, messi insieme in appena sedici ore dalla Polizia, hanno stretto il cerchio intorno ai due presunti responsabili dell’esplosione di una micidiale bomba artigianale davanti al negozio “Il Fornaio”, in pieno centro a Lamezia Terme, nella tarda serata del 30 marzo.

«Solo per miracolo non c’è stata una strage», ripetono i magistrati della Dda di Catanzaro e della Procura lametina. Quella stessa sera, a due passi di distanza, c’era uno spettacolo con 700 spettatori al teatro “Grandinetti”. E chi ha piazzato la bomba, incurante dei passanti, ha lasciato “campo aperto” per circa 35 secondi prima dell’esplosione. Che è stata comunque violentissima, tanto da danneggiare - oltre al negozio preso di mira - anche otto auto in sosta ed infissi, vetri e finestre di sette edifici.

In manette sono finite quelle che gli inquirenti definiscono «nuove leve delle nuove leve» della criminalità lametina. Sono il 21enne Davide Belville e il 27enne Francesco Gigliotti. A carico di entrambi gli agenti della Squadra mobile della Questura di Catanzaro e del Commissariato di Lamezia hanno eseguito un provvedimento di fermo emesso dalla Dda per l’esplosione della bomba e un’ordinanza di custodia cautelare della Procura lametina per un storia che ha dato indirettamente la svolta alle indagini, una violenta tentata rapina domiciliare a una 82enne e la sottrazione della borsa a una donna messa a segno poco dopo.

Analizzando le immagini acquisite subito dopo l’esplosione, gli agenti del Commissariato di Lamezia hanno notato un particolare illuminante, un ragazzo con un parka verde, lo stesso sequestrato a uno dei presunti autori della rapina nel corso di una perquisizione condotta il 31 marzo, dunque la mattina successiva all’attentato; a indirizzare gli agenti verso il sospettato Belville era stata l’impronta lasciata da lui stesso su un’auto parcheggiata prima di disfarsi della borsa rubata.

Risaliti all’identità di Belville, è stato via via ricomposto tutto il mosaico. Decisive le riprese di ben otto telecamere private e l’incrocio con le intercettazioni telefoniche già effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla rapina. Oggi gli inquirenti hanno in mano tutto il percorso condotto dai due presunti bombaroli. Belville e Gigliotti si sono incontrati sotto casa del primo in via Marconi, alle 23.30. Saliti entrambi su un motorino Piaggio Liberty, Gigliotti alla guida col casco, sono partiti alle 23.35. Quindi, rapidamente, il passaggio da via Montelungo e corso Nicotera per arrivare in via Piave, davanti al negozio “Il fornaio.” Qui Belville avrebbe piazzato l’ordigno 26 secondi dopo le 23.37. Gigliotti sarebbe rimasto in sella al motorino. Appena dieci secondi e sono ripartiti. Due secondi dopo le 23.38 si è registrata l’esplosione devastante. Qualche ora dopo, il Liberty è stato ritrovato da i Carabinieri abbandonato senza targa nelle campagne di Platania.

Sulla matrice estorsiva dell’episodio gli inquirenti nutrono pochi dubbi. La Dda, però, sta ancora lavorando per delineare lo scenario di fondo. Negli atti notificati ai due indagati si parla genericamente di «fine evidente di agevolare l’attività di una delle associazioni per delinquere di tipo ’ndranghetistico che detengono il controllo del territorio». Di quale cosca si tratti, è ancora da definire. Cambia poco sotto l’aspetto della necessità di tenere Belville e Gigliotti in carcere: su entrambi pesano pericolo di fuga e gravità del fatto «che per mera casualità non ha determinato la morte o il ferimento di più persone». Basti pensare che, a prescindere dalla coincidenza con la serata al “Grandinetti”, i due avrebbero agito noncuranti del fatto che davanti al negozio, poco prima dell’esplosione, c’erano quattro ragazzi intenti a chiacchierare.

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