Da sacerdote che nelle omelie dopo le stragi di mafia alzava la voce contro gli uomini della ‘ndrangheta a “deux ex machina” del presunto patto criminoso con gli uomini della cosca, per lucrare sui fondi destinati alla gestione del Centro di accoglienza per migranti di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto. Non ha dubbi sulle responsabilità di don Edoardo Scordio, il presidente della sezione penale del Tribunale di Crotone Abigail Mellace che nelle vesti di gip, ha interrogato e poi emesso giovedì sera un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del religioso 70enne, fermato lunedì insieme ad altre 67 persone, nel blitz eseguito da carabinieri, finanzieri e agenti della Polizia di Stato su disposizione della Procura antimafia di Catanzaro. E le categorie della tragedia greca, calzano a pennello alla parabola del “don” , per 33 anni parroco di Isola Capo Rizzuto, considerato dal gip un padrino di ‘ndrangheta: “l’elemento risolutore” dell’accordo tra i clan un tempo in guerra, per spartirsi il “malloppo” dei fondi per il “Cara” tramite la Misericordia di Isola Capo Rizzuto, commissariata dal “Nazionale”
«È il parroco (ex) di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, l’ideatore del piano criminoso che ruotava attorno al Cara di Isola Capo Rizzuto», scrive il gip Abigail Mellace, nel provvedimento con cui ha confermato la custodia cautelare in carcere per don Scordio. Per lo stesso giudice che ha usato parole durissime nei confronti del sacerdote, l’ingresso della cosca Arena nella gestione del “Cara”, si sarebbe realizzato, «per effetto di una vera e propria “proposta di affari” che la consorteria ha ricevuto da un insospettabile personaggio, don Edoardo Scordio». Sarebbe stato proprio il prete, secondo la ricostruzione del gip, a proporre ai vertici delle cosche Arena, Gentile e Nicoscia di «costituire e affidare alla gestione di sodali di fiducia le imprese cui affidare l’erogazione dei servizi più remunerativi in modo tale da permettersi di accaparrarsi la quasi totalità delle risorse stanziate».
La Procura antimafia nelle carte del fermo dell’operazione “Jonny”, parla di un distorto utilizzo di 36 milioni di euro sui 103 milioni, stanziati dal ministero per il “Cda/ Cara” dal 2006 al 20015. Fondi distratti che per il giudice delle indagini preliminari sarebbero finiti in parte nelle casse delle cosche «per altri lucrosi investimenti» e in parte nelle mani dello stesso don Scordio.
Per il giudice Mellace, le giustificazioni fornite dal parroco in merito ai fondi ricevuti dalla Misericordia «non hanno scalfito il quadro accusatorio». «Don Edoardo Scordio è a tutti gli effetti un esponente di rilievo – scrive il gip – della stessa associazione mafiosa per avere assicurato alla stessa il suo continuo e costante apporto, procurando il denaro che occorreva ai sodali, custodendo proventi estorsioni e comunque ideando e concorrendo a porre in essere tutte quelle condotte che hanno assicurato al clan di incamerare milioni».
Una tesi quella del gip che sposa in pieno la ricostruzione dei magistrati della Dda che nelle “carte” dell’operazione “Jonny” per sostenere l’organicità di don Edoardo con la cosca Arena, riportano anche le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Santo Mirarchi di Catanzaro, considerato con Nico Gioffrè, uomini di riferimento degli Arena nel Catanzarese. Nell’interrogatorio reso il 23 marzo scorso, Mirarchi oltre a parlare di don Scordio rivela anche l’interesse del reggente del clan Arena (Paolo Lentini), ad agganciare, tramite il sacerdote i dirigenti del Crotone Calcio per estorcere soldi al sodalizio sportivo pitagorico. «Io – ha fatto mettere a verbale Mirachi – ho incontrato in tante occasioni il prete, in quanto Paolo Lentini si fidava di me e di Nico Gioffrè per cui non aveva remore ad incontrarlo sebbene mi raccomandasse sempre di tenere riservato il prete che non doveva farsi vedere con noi delinquenti. Infatti, incontravamo il prete di domenica, in alcuni campetti da calcio che sono vicini al cimitero di Isola di Capo Rizzuto».
«Preciso – continua Mirarchi – che sono proprio attaccati. Lo stesso prete ho sentito che, seguendo le indicazioni di Paolo Lentini, affidava ad imprese a noi vicine, i lavori di giardinaggio presso il centro profughi. Ricordo di un incontro di una domenica, sempre presso i campetti, fra me, il prete e Paolo Lentini, nel corso del quale si è parlato del fatto che il prete avrebbe dovuto provocare un incontro fra Paolo Lentini ed il presidente del Crotone Calcio o un loro rappresentante». «Infatti – spiega il collaboratore di giustizia – Paolo Lentini voleva richiedere pagamenti a titolo estorsivo in percentuale rispetto agli incassi per la vendita dei biglietti. Ancora, il prete non era riuscito ad “agganciare” alcuni imprenditori che voleva contattare, pertanto, attraverso il presidente del Crotone Calcio che li conosceva quali sponsor della squadra». «In particolare ricordo – continua Mirarchi – che Paolo Lentini si era fissato in quanto voleva avere un contatto con un imprenditore edile che lavora presso il quartiere Farina di Crotone, che faceva da sponsor al Crotone Calcio e che Paolo Lentini sapeva essere amico del presidente del Crotone Calcio».