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“Spese pazze”, danno erariale per Serra e Rappoccio

“Spese pazze” in Consiglio regionale danno erariale per Serra e Rappoccio

Gli ex consiglieri regionali Giulio Serra e Antonio Rappoccio dovranno rifondere alla Regione la somma complessiva di 67mila 800 euro. I due - nelle vesti rispettivamente di ex presidente ed ex componente del gruppo “Insieme per la Calabria” - sono stati ritenuti responsabili di danno erariale dalla sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Calabria. La sentenza è stata appena pubblicata (presidente del collegio Anna Bombino, estensore Quirino Lorelli) e fa seguito agli inviti a dedurre del 23 maggio 2014.

La vicenda riguarda l’utilizzo improprio di somme «di cui entrambi avevano il possesso o comunque la disponibilità, per ragioni del proprio ufficio». Nello specifico, per le annualità 2101 e 2012 Rappoccio avrebbe incassato da Serra somme in via anticipata per complessivi 21mila 450,57 euro «in assenza di qualunque documentazione giustificativa». Ancora, nel 2010 , Serra avrebbe consegnato a Rappoccio 23mila 300 euro a fronte di 9 ricevute fiscali «per spese di ristorazione imprecisate sostenute da quest’ultimo». Nel 2011, il consigliere avrebbe poi «chiesto e ottenuto il rimborso di 14mila 469 euro a fronte della presentazione al capogruppo di tre ricevute/fatture relative a spese di tipografia emesse tra settembre e dicembre 2011, senza però che in quel periodo di fossero tornate elettorali nelle quali Rappoccio era candidato». Infine, sempre nel 2011 Rappoccio avrebbe documentato a Serra, per ottenere il rimborso, «una somma di 6mila 620 euro che egli avrebbe rimesso all’associazione “Il nodo di Ipazia”; tuttavia – si legge nella sentenza – sentita dalla polizia giudiziaria inquirente, la legale rappresentante smentiva categoricamente di avere ricevuto la contribuzione».

Punto su punto, i giudici contabili si soffermano per argomentare la condanna. Nel caso delle somme anticipate la Corte dei Conti osserva che «non v’è dimostrazione di sorta, né in sede di rendicontazione né nel corso del giudizio, che le stesse siano riferibili ad attività istituzionali del consigliere». In ordine poi alle spese di ristorazione, «non emerge alcun collegamento documentale con le attività propriamente politiche inerenti lo svolgimento del mandato elettorale da parte di Rappoccio». Un ragionamento chiaro quello dei giudici: sebbene possa ammettersi che un gruppo del Consiglio regionale «abbia un rapporto più stretto con il territorio e che l’attività politica sia contraddistinta da una dialettica costante con gli elettori nel qual caso le spese per occasioni conviviali potrebbero effettivamente rientrare nell’alveo delle spese per attività di informazione e comunicazione», allo stesso tempo «non è dato evincere perché all’asserita necessità di interlocuzione con la popolazione del territorio dovesse sistematicamente accompagnarsi la consumazione di un pasto al ristorante o anche al bar». In merito alle spese tipografiche e al contributo all’associazione, la Corte dei Conti richiama anche gli atti del procedimento penale in corso per concludere con «l’inesistenza dei presupposti giuridici per ritenere la legittimità». Infine, c’è la questione delle «spese per missioni, pari a 3mila 564,40 euro che sarebbero state sostanzialmente rimborsate due volte a Rappoccio, una direttamente dal Consiglio regionale e una seconda dal gruppo consiliare di appartenenza»; ebbene, i giudici scrivono che «alcuna obiezione hanno mosso i convenuti, onde la domanda delle Procura appare incontestate sul punto».

Un quinto della somma da rimborsare è stata posta a carico di Serra, i restanti 4/5 dovrà pagarli Rappoccio. La «colpa grave» di Serra «consiste nel non avere verificato la rispondenza delle ricevute e delle “pezze” giustificative consegnategli da Rappoccio ai requisiti di cui alla legge regionale». A Rappoccio viene invece addebitato il dolo «essendosi raggiunta ampia prova in ordine all’utilizzazione per fini propri e personali, sicuramente estranei alle attività politiche del gruppo consiliare, delle somme che gli erano state consegnate dal capogruppo».

La vertenza contabile è stata definita in questi giorni dopo che la sezione giurisdizionale aveva inizialmente sospeso il giudizio fino alla sentenza di primo grado in sede penale. Un “congelamento” impugnato dalla Procura regionale della Corte dei Conti presso le Sezioni Riunite della Cassazione, che a loro volta avevano ribaltato la situazione “restituendo” gli atti alla sezione giurisdizionale per la Calabria ai fini della prosecuzione del giudizio.

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