«Ho sempre combattuto la mafia ed ho dedicato 40 anni della mia vita alla comunità», «la Parrocchia ad Isola Capo Rizzuto, ha sempre svolto una funzione sociale così come la Misericordia». Don Edoardo Scordio, ha parlato per 15 minuti ieri pomeriggio davanti ai giudici del Tribunale del Riesame di Catanzaro. Una dichiarazione spontanea quella resa dal sacerdote in carcere dal 15 maggio scorso con l’infamante accusa di associazione mafiosa oltre che di malversazione sui fondi destinati al “Cara” (Centro di accoglienza e per richiedenti asilo) di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto.
Davanti al collegio presieduto dal giudice Valea, che deve decidere se annullare o confermare la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti, il 70enne ex parroco di Isola Capo Rizzuto, coinvolto nell’inchiesta della Dda denominata “Jonny”, ha contestato la ricostruzione accusatoria della Procura antimafia. Secondo i magistrati della Dda guidata da Nicola Gratteri, ed anche secondo i gip che hanno già valutato la sua e le altre posizioni dei 68 fermati nel blitz interforze del 15 maggio scorso, don Edoardo Scordio sarebbe stato l’ideatore del patto criminale con la cosca Arena per lucrare, tramite la “Misericordia” di Isola, ora commissariata, sui fondi destinati alla gestione del Centro di accoglienza per migranti di Sant’Anna. Don Edoardo e con lui il suo “pupillo” Leonardo Sacco, governatore fino al suo arresto, della confraternita di Isola, avrebbero utilizzato in maniera distorta ben 36 milioni di euro sui 103 milioni stanziati dal ministero dell’Interno tra il 2006 e il 2015 per la Misericordia e finalizzati alla gestione del Cda/Cara. Ma ieri don Scordio ha negato anche questa accusa, sostenendo tra l’altro che lui non aveva alcun potere di gestione sulla Misericordia di Isola Capo Rizzuto. L’avvocato Tiziano Saporito che assiste il sacerdote, ha sostenuto da un lato l’incongruenza di alcune dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Giglio e Santo Mirarchi; dall’altro ha definito «decontestualizzati», i brani delle intercettazioni riportati nei provvedimenti della Dda. Intercettazioni che secondo il legale assumerebbero un senso completamente diverso se ascoltate integralmente. L’avv. Mario Saporito che difende insieme al nipote, il religioso ha chiesto a sua volta la scarcerazione del sacerdote, sostenendo l’assenza di elementi tali da giustificare la misura cautelare.
Oltre all’ex parroco di Isola Capo Rizzuto, il Tdl ha esaminato ieri i ricorsi di diversi altri imputati dell’inchiesta “Jonny” condotta dai Carabinieri dei Ros, dai poliziotti della Mobile di Crotone e dalla Guardia di Finanza di Crotone. Tra gli altri sono comparsi davanti al Riesame, Antonio Francesco Arena difeso dall’avv. Saverio Loiero, Mario Ranieri assistito dall’avv. Luigi Villirilli, Beniamino Muto (avv. Aldo Truncè), Rosario Lentini (avv. Roberto Coscia e avv. Saverio Loiero), Pasquale Nicoscia (avvocati Gregorio Viscomi e Antonietta De Nicolo).
Ma mentre era in corso il Riesame sulle ordinanze emesse dal gip Claudio Paris, il 5 giugno scorso, venivano notificate dalla Polizia penitenziaria altre 12 ordinanze emesse dallo stesso gip (che su queste posizioni si era riservato), nei confronti di altrettanti indagati nell’operazione “Jonny” che essendo già detenuti per altro non erano stati raggiunti dal fermo disposto dalla Procura antimafia e dai successivi provvedimenti di convalida. Tra gli altri le nuove misure di custodia cautelare (vedi elenco completo a sinistra), sono state notificate a Fabrizio Arena che sta scontando un ergastolo per l’omicidio Nicoscia, a Pasquale Arena detto “Nasca” ed al fratello Gisueppe Arena “Tropeano”, indicati nella carte dell’inchiesta “Jonny” rispettivamente come reggente e capo della cosca Arena. Tra i 12 destinatari delle nuove misure cautelari ci sono anche Domenico Falcone, Antonio Giglio e Armando Abbruzzese, tutti di Catanzaro, considerati appartenenti a un gruppo “satellite” degli Arena, attivo nel capoluogo di Regione.
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