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Si aggravano le accuse al capo anestesista

Si aggravano le accuse al capo anestesista

Piccolo colpo di scena nell’udienza preliminare sul caso di Catia Viscomi, la donna di Soverato finita in coma a seguito di un parto cesareo all’ospedale Pugliese. Si aggravano, in buona sostanza, le accuse per uno dei due imputati: il pm Vito Valerio ha depositato una modifica al capo d’imputazione “a”, contestando – oltre all’omissione di atti d’ufficio – anche le lesioni personali colpose a Mario Verre, coinvolto in quanto direttore dell’unità operativa di Anestesia e Rianimazione del nosocomio.

La vicenda è ancora tutta da chiarire: secondo la Procura, il ginecologo Francesco Quintieri – formalmente accusato di lesioni e falso ideologico – non avrebbe impedito all’anestesista in servizio quel maledetto giorno «la disattivazione delle apparecchiature» di cui «era pienamente consapevole», attestando nella cartella clinica circostanze «contrarie al vero»; il direttore dell’unità operativa di Anestesia e Rianimazione, invece, avrebbe «indebitamente rifiutato» di «inibire parzialmente o totalmente l’esercizio delle funzioni» alla stessa anestesista.

Tutti e due rischiano il processo a conclusione del supplemento d’indagini disposto dal gip dopo una prima richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Inizialmente era indagata anche l’anestesista presente al momento dell’intervento di taglio cesareo d’urgenza; la professionista, però, è deceduta nel corso degli accertamenti della Magistratura e la sua posizione è stata archiviata. Le indagini sono invece andate avanti a carico dei due dottori.

La tragedia si è consumata il 6 maggio del 2014 nel reparto di Ostetricia e Ginecologia del Pugliese. Dopo la denuncia dei familiari e le successive indagini, la Procura aveva inizialmente concluso le indagini rilevando la responsabilità di quanto accaduto esclusivamente a carico dell’anestesista deceduta. Per questo venne chiesta al gip l’archiviazione per estinzione del reato (articolo 150 del Codice penale). Ma la famiglia di Catia Viscomi – a partire dal marito Paolo Lagonia, che si intestato una vera e propria battaglia giudiziaria – presentò opposizione tramite l’avvocato Giuseppe Incardona del Foro di Palermo, oggi affiancato nella costituzione di parte civile dall’avvocato Antonietta Denicolò Gigliotti del Foro di Catanzaro.

Sentite le parti in udienza camerale, il gup rigettò la richiesta della Procura e dispose un supplemento d’indagine per individuare eventuali altre resposabilità. Ed eccoci giunti, oggi, alla richiesta di rinvio a giudizio per i due nuovi indagati. Alla modifica del capo d’imputazione si è opposto in udienza preliminare il difensore di Verre, l’avv. Enzo Iopppoli; le sue contestazioni sono state però rigettate. Concessi quindi i termini a difesa, si proseguirà a settembre. Un procedimento che si complica e di fronte al quale pubblica accusa e parti civili punteranno a far valere le pro proprie ragioni.

L’inchiesta

Il pm: ignorate reiterate segnalazioni

Quintieri - capo dell’equipe operatoria presso il reparto di Ginecologia del Pugliese - avrebbe «consentito o comunque non impedito» all’anestesista, anch’ella inizialmente indagata e poi deceduta nel corso degli accertamenti della magistratura, la disattivazione degli allarmi dell’apparecchiatura di rilevazione dei parametri vitali della paziente. La stessa anestesista, «con la consapevolezza di Quintieri», non avrebbe neppure attivato il ventilatore automatico «allontanandosi dal capezzale» della puerpera, causando così un’ipossia prolungata che avrebbe trascinato Catia Viscomi nello stato vegetativo «irreversibile» in cui si trova tuttora. Verre - direttore dell’unità operativa complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva - sarebbe stato «consapevole delle reiterate ed allarmanti segnalazioni» giunte «da personale medico» sul comportamento poco ortodosso dell’anestesista.

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