All’ingresso della caserma, un fascio di fiori bianchi nel nastro tricolore. Lasciato lì, silenziosa testimonianza dell’affetto e della stima nei confronti del maresciallo Paolo Fiorello. Una comunità attonita che, all’indomani del dramma che si è consumato nella caserma, si è stretta intorno alla famiglia del giovane e ai militari dell’Arma, per quel dolore che non trova spiegazione.
Così si è svegliata nell’incredulità, dopo 24 ore dall’estremo gesto del comandante della stazione, Pizzo. Nessuno riesce a metabolizzare che il giovane maresciallo, di appena 36 anni, non ci sia più e che sia stato lui a decidere di recidere la sua linfa vitale. Intanto, ieri sera è giunto in città il fratello, anch’egli sottufficiale dell’Arma e stamane arriverà anche la madre. Avranno modo di vedere il congiunto all’obitorio dello “Jazzolino” dove si trova a disposizione dell’autorità giudiziaria per l’autopsia che accerterà la dinamica del decesso.
Solo dopo, la salma sarà consegnata ai familiari, per consentire i funerali che saranno officiati a Calatafimi Segesta (Trapani), nel suo paese d’origine. La Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo, quale atto dovuto, considerato che non vi sono dubbi sul decesso per suicidio. Resta lo sconforto, l’amarezza per la perdita dell’uomo e del militare, che rappresentava uno dei migliori elementi della Benemerita. Un professionista che non lasciava mai nulla di intentato, e così è stato anche nel tragico epilogo: un unico colpo dritto al cuore con la pistola d’ordinanza e a niente è valsa la folle corsa dei sanitari per cercare di rianimarlo. In borghese, per non dare nell’occhio, e con fredda lucidità, si è recato come sempre in ufficio, ha scritto il bigliettino per spiegare il motivo del gesto e chiedere scusa ai suoi familiari e colleghi; un commiato per circoscrivere il suo dolore.
Di quanto albergasse nel suo animo non aveva lasciato trasparire nulla: negli ultimi giorni era apparso solo più schivo anche con gli amici ma tutti pensavano che si trattasse solamente di un momento di difficoltà, come nella vita può capitare, motivo per cui, forse, avevano cercato di non essere invadenti. Tra i colleghi, però, regna il dolore per la perdita e la rabbia dell’impotenza, perché nessuno si è accorto del turbamento che covava nell’animo del maresciallo. I suoi pensieri gravavano sull’idoneità al servizio, a seguito dell’incidente avuto lo scorso 19 marzo. È quella fatidica data che ha cambiato la sua vita, dapprima rallentando la sua operatività e poi relegandolo nei margini di quel lavoro che era la sua seconda pelle; prima una decina di giorni di ricovero e l’intervento al malleolo per via della frattura scomposta a seguito della caduta, poi i primi 35 giorni al letto nel suo alloggio e, infine, la possibilità di deambulare ma con le stampelle.
Dunque, il rischio di non essere idoneo al servizio era il suo cruccio: l’idea di finire in un ufficio o di essere congedato non l’accettava proprio e l'unica soluzione trovata, è stata pigiare il grilletto. Forse una casualità ma, il giorno scelto per l’estremo gesto, l’1 luglio, era il giorno precedente a quello della morte del padre a cui era molto affezionato, anch’egli sottufficiale della Benemerita.