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Chi spinse Rosetta Cerminara a mentire?

Chi spinse Rosetta Cerminara a mentire?

Il grande mistero calabrese. Con una serie di depistaggi, un falso supertestimone e una verità venuta fuori solo dopo molti anni. Un mistero che presenta incredibili analogie, a cominciare dall’anno dei fatti, il 1992, con il caso del finto pentito Vincenzo Scarantino e l’inchiesta condotta a Caltanissetta per far luce sulla morte di Paolo Borsellino. Un mistero legato ad una supertestimone (poi clamorosamente smentita) che indicò in due lametini Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, gli autori dell’agguato costato la vita, la sera del 4 gennaio 1992, a Lamezia Terme, all’ispettore di polizia, Salvatore Aversa ed alla moglie, Lucia Precenzano. La teste, all’epoca ventunenne impiegata dell’ufficio Aci di Nicastro, individuata durante una inchiesta velocissima, rese dichiarazioni alla magistratura inquirente e, prima ancora, ai poliziotti del Servizio centrale operativo, facendo finire nei guai Rizzardi e Molinaro. Disse di averli visti sulla scena del crimine e indicò una serie di particolari che apparvero agli investigatori circostanziati e credibili. I due sospettati finirono in manette e poi a giudizio, incassando nel 1994 pesanti condanne: Rizzardi l’ergastolo, Molinaro 25 anni di carcere. Durante tutto il processo di primo grado gli imputati continuarono, però, a protestarsi innocenti ed i loro avvocati, Armando Veneto e Pino Zofrea, tentarono in tutti i modi di dimostrare la contraddittorietà delle confessioni rese dalla supertestimone. Al momento dell’esecuzione del duplice omicidio, infatti, la Cerminara si trovava dal parrucchiere e, pertanto, non poteva aver visto i presunti sicari. Ma la testimonianza resa in tal senso alla Polizia dai titolari dell’«hair shop» in cui la grande accusatrice si trovava non venne presa in adeguata considerazione.

La medaglia

La ventunenne intanto, nelle more tra il dibattimento di primo grado e quello di appello, fu insignita dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, della medaglia d’oro al valor civile, inserita nello speciale programma di protezione riservato ai testimoni di giustizia e assegnata ad un incarico lavorativo in una struttura dello Stato. Gli avvocati Veneto e Zofrea, tuttavia, non mollarono la presa riuscendo con uno straordinario lavoro a dimostrare che l’«eroina» elevata agli onori della gloria nazionale aveva mentito.

L’assoluzione

La Corte d’assise di appello di Catanzaro, il 12 maggio del 1995, ribaltò il verdetto assolvendo per non aver commesso il fatto sia Rizzardi che Molinaro che furono subito scarcerati. Il verdetto assolutorio passò successivamente in giudicato. La riacquistata libertà per Renato Molinaro durò, tuttavia poco: l’uomo, infatti, morì prematuramente il 18 giugno del 1997. Quella terribile storia l’aveva profondamente segnato.

Una calunniatrice

Nel frattempo Rosetta Cerminara fu denunciata per calunnia e truffa ai danni dello Stato tanto che nel 2003 venne condannata dal tribunale di Catanzaro a due anni e due mesi di reclusione. Nel 2007 la pena divenne definitiva. La supertestimone, a parere dei giudici di legittimità, aveva accusato ingiustamente i due imputati e truffato lo Stato. Insomma, da “supereroina” divenne in via definitiva una “superbugiarda”. Nel 2001 la Gazzetta del Sud rivelò, peraltro, che Rosetta Cerminara aveva incassato quasi 3 miliardi di vecchie lire dallo Stato per l’apporto fornito alla Giustizia ed anche ottenuto un invidiabile posto in una pubblica amministrazione, naturalmente sotto falso nome.

I buchi investigativi

Eppure, le indagini per far luce sulla tragica morte di Salvatore Aversa e Lucia Precenzano presentavano già dall’inizio dei “buchi neri”: s’era avuta fretta di individuare i colpevoli, di offrire una risposta all’opinione pubblica. Era accaduto quanto già visto in Sicilia con il pentito Vincenzo Scarantino per far luce sulla strage di via D’Amelio e l’omicidio di Paolo Borsellino. Le analogie tra le due vicende giudiziarie appaiono evidenti. L’avvocato Veneto individuò le forzature investigative ed i “buchi neri” nel caso Cerminara in alcuni fatti specifici indicati nell’istanza per il risarcimento dei danni poi presentata contro il Ministero dell’Interno. Il penalista parlò di «indagini fuorviate» e di prove scomparse prima e durante il processo ai due lametini: l’identikit dei killer disegnato dalla polizia sulla base di quanto aveva visto Cerminara era sparito, così come gli atti delle testimonianze dei parrucchieri dove la visionaria si trovava al momento del delitto; non erano stati assolutamente considerati i risultati delle indagini dei carabinieri, parallele a quelle della polizia; un funzionario di pubblica sicurezza era stato trasferito da Lamezia a Roma dopo aver detto per telefono ai figli della coppia assassinata che aveva perplessità sulla colpevolezza di Rizzardi e Molinaro; e, infine, la tuta sportiva che indossava Rizzardi la sera del delitto era completamente diversa da quella immaginata dalla Cerminara.

I due pentiti e la verità

Ma, come nel caso Scarantino in Sicilia con la comparsa del pentito Gaspare Spatuzza, pure in Calabria, nel maggio del 2000, compaiono due collaboratori di giustizia che rivelano, finalmente, cosa è accaduto davvero a Lamezia Terme la sera del 4 gennaio 1992. Si chiamano Stefano Speciale e Salvatore Chirico, sono due killer della mafia pugliese ed hanno materialmente ucciso Aversa e la moglie. I malavitosi della terra del Tavoliere dicono la verità: i guanti di lattice ritrovati dalla polizia dopo l’agguato all’ispettore Aversa recano le impronte digitali di Speciale. I due spiegano di aver agito su mandato del boss di San Luca Antonio Giorgi al quale dovevano 60 milioni di lire per un debito di droga. Il padrino sanluchese aveva chiesto loro di agire per fare un “favore” ai compari lametini che non ne potevano più dell’azione investigativa dell’incorruttibile Aversa. Il 24 aprile del 2002 Speciale e Chirico verranno condannati a 10 anni di reclusione; Giorgi all’ergastolo. Non potranno invece essere processati nella veste di mandanti Francesco Giampà, il “professore” e Nino Cerra, perchè già giudicati e assolti per il medesimo fatto in un altro dei tanti fallimentari processi istruiti dopo l’assoluzione di Rizzardi e Molinaro. E non potrà essere processato Giovanni Torcasio perchè ucciso in un agguato. Stefano Speciale, in una intervista esclusiva rilasciata a Gazzetta del Sud il 15 maggio del 2002 racconterà: «I soldi che avrebbero dovuto darci per il duplice omicidio servivano a coprire il debito per la droga che avevamo contratto a San Luca». Insomma lui e Chirico spararono “gratis”. «Ho deciso di collaborare di mia iniziativa» spiegherà il killer al nostro giornale «vivevo a Modena e nessuno mi cercava». Questi i fatti.

Le domande

Punto di domanda: chi spinse Rosetta Cerminara a inventare le accuse contro Molinaro e Rizzardi? Chi orientò le indagini per arrivare a una veloce chiusura del caso? Come per la vicenda Scarantino e l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio anche per le indagini sul duplice omicidio Aversa-Precenzano non sono stati ancora individuati i responsabili. Diceva ironicamente Leonardo Sciascia: «Un giorno sapremo tutto...»

Lo sfregio

Salvatore Aversa e la moglie, Lucia Precenzano subirono un ulteriore sfregio da morti. Due mesi dopo l’agguato di cui erano rimasti vittima in via dei Campioni a Lamezia Terme, la tomba in cui erano stati sepolti nel cimitero di Castrolibero (Cosenza) venne profanata. I resti dei due coniugi furono dati alle fiamme. Per il fatto i carabinieri incriminarono due “pesci piccoli” della criminalità cosentina che furono, però, successivamente assolti. Secondo la magistratura inquirente si trattò d’uno sfregio simbolico a testimonianza dell’odio che la ’ndrangheta lametina nutriva nei confronti di Aversa, poliziotto all’antica e incorruttibile, memoria storica del commissariato.

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