Una storia processuale senza dissidi e senza contrasti, dove la tesi dell’accusa poggerebbe «su una sorta di “presunzione di permanenza” del vincolo associativo che, oltre a non avere fondamento normativo – sostengono i giudici nelle motivazioni della sentenza – non risulta nel caso di specie convalidata e supportata da un idoneo substrato probatorio, venendo anzi sonoramente smentita da diversi elementi raccolti» quali l’intercettazione di un dialogo tra Pantaleone Mancuso (Vetrinetta) e la sorella Romana «e la palese e totale assenza di contatti tra il capo storico Vetrinetta e gli altri capi più “giovani” del gruppo Scarpuni o Papaianni, oltre che tra i tre vertici della famiglia Vetrinetta, Antonio e Giovanni, insieme indicati come “organo centrale di controllo”».
Al tempo stesso i giudici del Tribunale di Vibo precisano che «non si intende, in questa sede, di certo smentire o negare il potere di intimidazione che il solo cognome “Mancuso” possiede sul territorio vibonese, essendo peraltro stata statuita anche giudizialmente l’esistenza e l’operatività della cosca facente riferimento alla predetta famiglia fino al 2003». Ma nel caso in esame «ciò che è emerso è che gli imputati si siano avvalsi di questa “rendita da capitale intimidatorio” (la spendita del cognome Mancuso ndr) per scopi e finalità anche illecite, ma riconducibili all’interesse del singolo e non del gruppo complessivamente considerato». E come contraltare della proiezione operativa esterna della famiglia per i giudici vi è la mancanza di «prova alcuna di elementi inerenti la sua stabile struttura interna: manca l’imposizione di regole stringenti e inderogabili, il rispetto della gerarchia criminale; manca un programma criminoso “condiviso” tra gli imputati, la ripartizione dei ruoli e dei compiti, anche solo un qualche metodo o momento dio condivisione degli obiettivi da perseguire e delle modalità con cui farlo, manca la diuturnitas dei rapporti intersoggettivi». E il fatto che alcuni degli imputati appartegnano alla stessa famiglia anagrafica «sebbene questo possa essere un indice dell’esistenza dell’associazione» non costituisce di per sè elemento sintomatico dell’appartenenza all’associazione. (m.c.)