Carcere duro per Domenico Bonavota. Dallo scorso mese di agosto, ma lo si è appreso soltanto ora, il capo del clan di Sant’Onofrio si trova rinchiuso in carcere a Parma, nello stesso penitenziario dove, alle stesse condizioni, sta scontando un ergastolo Totò Riina.
Il Ministero della Giustizia, accogliendo la richiesta della Dda di Catanzaro, ha infatti disposto l’applicazione del regime del 41 bis anche nei confronti di Domenico Bonavota, 38 anni.
È accusato di estorsione ai danni della cooperativa “Talitha Kum” (e proprio in un’udienza celebrata l’altro giorno a Vibo Valentia si è appreso del nuovo regime carcerario cui è sottoposto) e di concorso nell’omicidio di Domenico Di Leo (detto “Micu u catalanu”), ucciso a Sant’Onofrio il 12 luglio 2014. Per questo omicidio è stato condannato a 30 anni Francesco Fortuna.
L’omicidio di Domenico Di Leo, secondo le dichiarazioni del pentito Andrea Mantella, sarebbe maturato nell’ambito delle frizioni all’interno del clan Bonavota di Sant’Onofrio di cui la stessa vittima avrebbe fatto parte diventando però una pedina scomoda per il suo stesso clan. In particolare Di Leo sarebbe entrato in contrasto con i vertici della cosca per alcuni interessi commerciali sulla zona industriale di Maierato. Un quadro precipitato con l’ordigno piazzato all’autosalone De Fina che sarebbe stato “sotto protezione” dei Bonavota e di cui Di Leo era sospettato essere l’autore.
Lo stesso Bonavota è tra i 14 indagati dell’operazione denominata “Conquista”, portata a termine dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e dai Carabinieri di Vibo Valentia lo scorso 14 dicembre.
Domenico Bonavota è figlio di Vincenzo Bonavota, ritenuto il fondatore dell’omonimo clan della ‘ndrangheta vibonese uscito vincitore da una faida con il clan Petrolo-Matina e deceduto a metà anni ‘90. (al. bon.)
Caricamento commenti
Commenta la notizia