Nessun colpevole. L’omicidio impunito stavolta è quello di Torquato Ciriaco, avvocato lametino ucciso a 55 anni in un agguato mafioso. Ieri il Gup distrettuale di Catanzaro ha assolto i tre imputati Tommaso Anello e i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci, tutti di Filadelfia, ed ha pure scagionato Francesco Michienzi, il collaboratore di giustizia che ha confessato d’aver partecipato all’organizzazione dell’agguato.
Il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo per i tre imputati principali, ma anche 11 anni per il pentito. Al quale il Gup Giovanna Gioia non ha creduto. Tutti assolti per non avere commesso il fatto.
Si chiude così una delle pagine più tristi e drammatiche della lotta alla ‘ndrangheta a Lamezia. I familiari della vittima, l’avvocato Giulia Serrao e tutti i suoi figli, chiedono giustizia da quel primo aprile 2002, quando di sera tuonarono diversi colpi di pistola contro il fuoristrada che guidava Torquato Ciriaco. Uscito dal suo studio legale stava raggiungendo casa fuori città. Fu crivellato al bivio sulla provinciale per Maida. Morì sul colpo. Degli assassini nessuna notizia, fino a quando nel 2014 parlò Michienzi, disse che lui col presunto boss Tommaso Anello, ed i fratelli Fruci, organizzarono il commando. L’avvocato doveva essere tolto di mezzo perchè, secondo il pentito, voleva comprare una cava che invece interessava al clan Anello di Filadelfia. Ad accusare gli imputati anche Angela Donato, la mamma di Santino Panzarella, il giovane ucciso soltanto pochi mesi dopo l’omicidio Ciriaco. La signora Donato dice che c’era pure suo figlio nell’agguato del primo aprile sulla strada tra Lamezia e Maida.
Tutte ipotesi smontate pezzo per mezzo dai difensori, gli avvocati Pino Spinelli, Sergio Rotundo, Anselmo Torchia e Alice Massara. A difendere il collaboratore l’avvocato Claudia Conidi. Gli imputati sono tutti in libertà.
La famiglia della vittima s’era costituita parte civile al processo. La moglie di Ciriaco aveva dichiarato che qualsiasi risarcimento sarebbe stato donato all’associazione “Libera” contro tutte le mafie. Bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza di ieri per sapere se il pubblico ministero farà ricorso in appello. E se la famiglia Ciriaco avrà ancora la forza d’animo per costituirsi a distanza di 15 anni da quella maledetta sera.
È stata la prima esecuzione mafiosa di un avvocato nella storia criminale di Lamezia. Per trovare la seconda si deve arrivare all’agosto dell’anno scorso, quando fu ucciso Francesco Pagliuso a 44 anni sotto casa sua, a Lamezia. Anche lui si trovava in macchina. Anche questo resta un caso irrisolto. Così come quello dell’avvocato generale di Corte d’appello Francesco Ferlaino che risale al 1975. In quegli anni a Catanzaro si celebrò il primo processo a Cosa Nostra. Infine l’omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e di sua moglie Lucia Precenzano in pieno centro nel 1992. Ad ucciderli, secondo la giustizia, il clan Torcasio che incaricò due killer pugliesi della Sacra Corona Unita che hanno confessato il duplice omicidio.
«Ci sono voluti 11 anni per far emergere un dato che era evidente fin da subito, ossia l'assoluta estraneità degli imputati dalla gravissima accusa che gli veniva mossa», ha dichiarato l’avvocato Sergio Rotundo che difende Tommaso Anello e Giuseppe Fruci. «S’è trattato di un’indagine debole sin dall'inizio, non si spiegherebbe altrimenti come persone accusate di un efferato omicidio non siano mai state raggiunte da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Al di là dell'esito», conclude il legale catanzarese, «resta l'amarezza di aver illuso i familiari dell’avvocato Ciriaco di aver individuato i responsabili di un ignobile delitto e l'ulteriore amarezza, per gli imputati, dei tempi enormi che hanno caratterizzato questo procedimento cominciato nel 2006»
Caricamento commenti
Commenta la notizia