Oltre il 40 per cento dei pasti serviti in corsia finiscono nel cestino dei rifiuti perchè insipidi, freddi o con un aspetto per nulla invitante, tanto che molti piatti dopo l’apertura delle confezioni rimangono intatti. A denunciarlo sono molti pazienti dello Jazzolino e i familiari che li assistono, i quali sono testimoni delle carenze del servizio, ma anche di un grande spreco alimentare.
«Preferisco farmi portare i pasti da casa – osserva un malato –. Qui il cibo oltre ad essere freddo è scotto».
Il problema, però, non riguarda tanto la qualità dei cibi, che già in passato è stata accertata essere negli standard, ma bensì le modalità di distribuzione e gli orari non consoni. In alcuni reparti i pasti vengono consegnati addirittura alle 11.30 di mattina e alle 17.15 nel pomeriggio.
Tuttavia alcune segnalazioni interessano i piatti serviti che spesso non sono quelli previsti dal menù.
«In questo reparto si mangia sempre pastina – rileva una donna – e io non ho particolari esigenze dietetiche». Eppure le linee guida del ministero della Salute per il cibo in ospedale parlano chiaro: «quel che si mangia mentre si è a letto fa parte della cura». Nonostante ciò l’alimentazione ospedaliera, secondo molti pazienti, oltre ad essere fredda e scotta, non risponde alle esigenze dietoterapiche.
Le inefficienze del settore nei giorni scorsi erano state segnalate dai degenti del presidio ospedaliero di Tropea, dove il servizio mensa era stato sospeso dall’Asp a gennaio 2017 per carenze igienico sanitarie. Stessa sorte era toccata l’anno precedente (2016) alla cucina dello Jazzolino dichiarata strutturalmente inagibile a causa di lesioni alle pareti. Attualmente i pasti vengono preparati a Serra San Bruno (dalla ditta Dussman) e poi trasportati a Vibo e Tropea. Il cibo arriva in sede dopo circa un’ora di viaggio e fin quando viene smistato nei vari reparti passano almeno altri venti minuti.
«Siamo stanchi di questa gestione – rilevano i malati –. I pasti vengono preparati a cinquanta chilometri di distanza e arrivano spappolati e freddi». La ristorazione ospedaliera dovrebbe essere l’indice del funzionamento di un nosocomio, a parere di alcuni familiari, e invece in questo modo oltre a un eccessivo dispendio di risorse pubbliche non si riesce a garantire ai degenti pasti di qualità. «Questo non è mangiare – osserva un ragazzo – oltre ad essere freddo è scadente».
A sollevare la questione era stata anche la Cgil che più volte aveva denunciato disfunzioni nella filiera. «Non si può cucinare a un’ora e mezza di distanza – esordisce Pina Cosmano (Filcams-Cgil) –. È una questione di buonsenso e umanità. Occorre trovare al più presto una soluzione definitiva». L’affidamento all’esterno del servizio di cucina sta comportando infatti non poche difficoltà.
Alle proteste dei degenti dei vari reparti si aggiungono quelle dei dializzati, ai quali viene servita una colazione “in scatola” «assolutamente inidoneo da somministrare», come denunciato da Rossella Iannello.
Il management aziendale dal canto proprio ha avviato una serie di verifiche. Un primo step è previsto per giovedì allo Jazzolino, dove verrà effettuato un sopralluogo per verificare lo stato dei locali cucina ed eventualmente valutare il trasferimento dei punti cottura nella sala mensa. «Stiamo vagliando – spiega il direttore sanitario Michelangelo Miceli – se ripristinare il servizio mensa nei locali che già lo ospitavano e che dovranno essere sottoposti a lavori strutturali , oppure se optare per una scelta alternativa. I progetti sono già pronti e nei prossimi giorni l’architetto dell’azienda sanitaria farà il punto sullo stato dell’arte».
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