Diventano mediatori tra la vittima di un furto e gli zingari che vogliono il pizzo per restituire il furgone rubato. Si tratta di due presunti esponenti del clan Torcasio, Antonio Miceli e Vincenzo Grande, intercettati anche in questa loro attività. Con questo episodio viene fuori più di prima il perverso intreccio tra criminalità organizzata locale e la frangia illegale dei rom.
A fare emergere queste pratiche mafiose ci ha pensato l’indagine della Direzione distrettuale antimafia catanzarese e dei carabinieri. Che ieri hanno arrestato due rom, Francesco e Damiano Berlingieri, ed hanno notificato il provvedimento restrittivo a Miceli e Grande che si trovano in carcere per associazione mafiosa. I due erano stati coinvolti nell’operazione “Crisalide” dell’anno scorso. Miceli in particolare è considerato dagli inquirenti il giovane reggente della cosca Torcasio dopo l’arresto di tutti i boss negli ultimi cinque anni e la loro condanna.
Si tratta dell’operazione che ha fatto scricchiolare l’amministrazione comunale guidata da Paolo Mascaro, mandata a casa con un decreto del presidente della Repubblica che ha sciolto il consiglio comunale nello scorso novembre. Due ex consiglieri comunali, il vicepresidente Giuseppe Paladino e il capogruppo Pasqualino Ruberto, sono accusati di concorso esterno nell’associazione mafiosa. Secondo l’accusa avrebbero adottato la tecnica del voto di scambio con i mafiosi per essere eletti. Un altro degli imputati, il giovane Alessandro Gualtieri considerato un affiliato dell’omonimo clan della Trempa, era fidanzato con la consigliera comunale di maggioranza Marialucia Raso che si è poi dimessa pur non essendo coinvolta direttamente nell’inchiesta.
A inchiodare Miceli e Grande ci sono delle intercettazioni ambientali e telefoniche registrate tre anni fa dagli investigatori. Subito dopo il furto del furgone Fiat Ducato la figlia del proprietario si è rivolta a Vincenzo Grande perchè era in grado di mettersi in contatto con la cricca degli zingari che rubano auto e chiedono il riscatto per restituirla al proprietario. Un “cavallo di ritorno” in gergo malavitoso.
Grande e il suo amico Miceli cercano i responsabili del furto negli ambienti rom più emarginati e comunicano che il prezzo da pagare è 500 euro per poter riavere il Ducato. Comincia una trattativa tra proprietari e mediatori, finchè si pattuiscono 300 euro. Che il titolare dell’automezzo consegna e ottiene il furgone con cui deve lavorare. Se non avesse pagato, ha detto Vincenzo Grande in un’intercettazione telefonica, il mezzo sarebbe stato smontato e venduto dai rom al miglior offerente.
Si tratta di un’estorsione e una rapina documentate dalle intercettazioni dei carabinieri. I telefonini di Miceli e Grande erano sotto sorveglianza perchè la procura stava indagando su un giro di estorsioni del clan Torcasio-Cerra-Gualtieri sfociato nell’operazione “Crisalide”. L’estorsione in questo caso è aggravata dalla modalità mafiosa. In sostanza, secondo gli inquirenti, Miceli e Grande si sarebbero serviti del loro status di mafiosi per poter dialogare con i ladri. Secondo il giudice distrettuale Paola Ciriaco anche chi compie l’intermediazione in un’estorsione compie il reato, secondo quanto stabilisce la Corte di Cassazione.
Damiano Berlingieri ha 29 anni e abita a Ciampa di Cavallo, Francesco Berlingieri è un quarantenne residente in contrada Barbato. Da ieri i due sono in carcere. Come i due presunti mafiosi Antonio Miceli di 27 anni e Vincenzo Grande di 58, titolare di un bar a Capizzaglie. Nei prossimi giorni per loro ci saranno gli interrogatori di garanzia.
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