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Caccia al braccio armato

Caccia al braccio armato

Ai guai con la giustizia non è nuovo, gli inquirenti della squadra mobile lo tratteggiano come «pluripregiudicato, specializzato in reati predatori ad alto impatto». “Il pavone”, al secolo Alessandro Morra, 37 anni, di Cerignola (Foggia), è ritenuto il capo del gruppo d’assalto che con tecniche paramilitari ha messo a segno il colpo da 8 milioni di euro al caveau della Sicurtransport. Adesso su di lui pende un mandato di cattura, confermato dal gip di Foggia che ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere dopo il provvedimento di fermo al quale è sfuggito lo scorso 20 aprile insieme al 48enne barese Pasquale Pazienza. Per i due è scatta da giorni una vera e propria caccia all’uomo, che potrebbe portare fino all’estero. Perché di accorgimenti contro un’eventuale cattura, Morra ne avrebbe presi tanti a partir da rientri a casa sempre più sporadici.

Già nel 2006 “Il pavone” si trovava in carcere a Foggia, quand’è stato destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare per traffico di droga. E già in quest’operazione, battezzata “Due minuti”, Morra era ritenuto a capo di una presunta associazione a delinquere. Che via via, da Cerignola, si sarebbe specializzata in assalti armati contro portavalori. Non a caso, qualche mese prima - a novembre del 2005 - la Guardia di Finanza aveva apposto i sigilli ad un piccolo “impero” del gruppo fatto di appartamenti, ville, terreni, auto di grossa cilindrata, fuoristrada e persino un’imbarcazione da diporto.

Oggi “Il pavone” è attivamente ricercato, così come Pazienza «che – sostengono gli inquirenti – fa parte del gruppo di ricognizione individuato in Calabria ed è ritenuto uno dei più validi collaboratori di Morra». È andata diversamente a “Mariolone”, al secolo Mario Mancino, 41enne anch’egli di Cerignola, finito in manette il 20 aprile ad opera della Polizia sulla base del provvedimento d’urgenza emesso dalla Procura di Catanzaro. Nei giorni scorsi, il gip di Foggia non ha convalidato il fermo ma emesso un’ordinanza disponendo il carcere per il sospettato della rapina più ricca mai messa a segno in Calabria. Mancino, già «condannato – annotano gli inquirenti– per reati contro il patrimonio, tra i quali spicca la rapina in concorso, e spaccio di stupefacenti», sarebbe stato in possesso di «una somma di denaro non giustificata». E nel corso di una perquisizione è stato trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa risultata rubata in una rapina a un blindato della Securpol sulla Sp 60 a Cerignola, oltre che di una radio-scanner. Tanto basta per ritenerlo componente del gruppo armato entrato in azione a Caraffa il 4 dicembre del 2016. Gli inquirenti non hanno dubbi: «Che l’arma rinvenuta presso l’abitazione dei genitori di Mancino fosse parte di un arsenale a disposizione del gruppo di criminali capeggiati da Morra è disvelato dallo stesso Mancino nel corso di sue conversazioni (“...misi tutto insieme e dissi ora vado a lasciare la macchina e domani mattina prendo e la vado a mettere insieme alle altre!”)». E ancora, si legge nel provvedimento di fermo, «il collegamento e l’appartenenza al gruppo capeggiato da Morra è dato dalle intercettazioni dei colloqui resi in ambientale da Mancino, ove si ricava il dato per cui la moglie di Matteo Ladogana (anch’egli indagato, ndr), detenuto, pretendesse il mantenimento da parte del gruppo criminale di appartenenza del marito in ragione dello stato detentivo di quest’ultimo, malgrado la sua famiglia avesse a disposizione una ingente somma di denaro». Quest’ultimo riferimento è ai 119mila euro, poi sequestrati dalla Polizia, considerati parte del bottino della rapina alla Sicurtransport. Il denaro dalla Calabria, tolta la “stecca” consegnata in segno di rispetto alle ’ndrine più influenti sul Crotonese, sarebbe arrivato in Puglia a bordo di un camion carico di verdura.

Sia Morra che Pazienza e Mancino sono stati individuati come partecipanti alla rapina da Annamaria Cerminara, che qualche settimana fa ha deciso di collaborare con la giustizia raccontando tutto. Ex compagna di Giovanni Passalacqua, la mente catanzarese del colpo, temeva per la sua sicurezza dopo essere stata accusata di aver fatto sparire parte del bottino.

Gli indagati

Lo scorso 20 aprile sono stati fermati (poi è stata emessa ordinanza del gip) i calabresi Giovanni Passalacqua (52 anni, di Catanzaro), Leonardo Passalacqua (44, di Catanzaro), Nilo Urso (41, di Rossano), Dante Mannolo (42, di Cutro), Cesare Ammirato (69, di Catanzaro) e Massimiliano Tassone (49, di Catanzaro). Per il gruppo dei pugliesi è stato fermato Mario Mancino (42 anni, di Cerignola). Tuttora ricercati i pugliesi Pasquale Pazienza (48 anni) e Alessandro Morra (37). Indagati a piede libero altri due pugliesi, Carmine Fratepietro e Matteo Ladogana, e la catanzarese 41enne Annamaria Cerrminara, compagna di Giovanni Passalacqua, che ha deciso di collaborare con la giustizia.

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