Condanne definitive per l'agguato a Pietro Amerato, avvenuto con un colpo di pistola esploso poco dopo la mezzanotte del 21 luglio 2010 in via Enrico Fermi, a due passi dal Municipio. Con il rigetto dell’appello presentato dalla difesa, la Corte dei Cassazione si è espressa in via ormai definitiva sulle responsabilità di Antonio Franzè, 38 anni, detto “Platinì” e Antonio Della Rocca, 38, detto “Spillo”, accusati in concorso di lesioni personali, detenzione e porto abusivo di armi e spari in luogo pubblico.
In primo grado ai due erano stati inflitti, dal gup del Tribunale di Vibo, a conclusione del rito abbreviato, 2 anni di reclusione per entrambi. La Corte d’appello di Catanzaro però, dichiarando prescritto il capo d’imputazione legato all’esplosione di un colpo d’arma da fuoco in pieno centro abitato, ha ridotto la condanna a 1 anno e 6 mesi di reclusione. E adesso questo verdetto, con la pronuncia della Suprema Corte, diventa definitivo. «I motivi di ricorso – si legge nella sentenza appena depositata – sono manifestamente infondati. Essi tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento in ordine agli elementi fondativi della responsabilità degli imputati per i reati contestati».
Già in primo grado nei confronti dei due responsabili era cadute le aggravanti dei motivi abietti e futili. Sulla sparatoria, giunta al culmine di una violenta lite fra due gruppi di giovani, era stata la Squadra mobile della Questura di Vibo a far luce, consentendo l’11 dicembre 2010 l’arresto di Franzè e Della Rocca, al termine dell’operazione “Gol” così chiamata proprio per i soprannomi di entrambi legati al mondo del calcio. ll ferimento di Amerato sarebbe maturato sullo sfondo di un contesto malavitoso in cui rancori e pregresse vicende avrebbero “giocato” un ruolo determinante. Dopo l’esplosione del colpo di pistola - stando alla ricostruzione accusatoria - la Polstrada aveva notato uno scooterone, guidato da una persona con un casco nero, attraversare piazza Municipio e dirigersi in direzione dell’American Bar. In via Fermi, i poliziotti avevano invece trovato tre giovani a piedi di cui uno, Pietro Amerato, attinto da un colpo d’arma da fuoco al ginocchio destro. Le altre due persone “intercettate” dalla polizia erano entrambi parenti della vittima. Ed è stato proprio a seguito delle operazioni di intercettazione, disposte in particolare sull’auto di uno dei tre giovani, che gli investigatori sono riusciti a ricostruire la dinamica dei fatti. Un contrasto fra gli Amerato ed i cugini Antonio Franzè e Antonio Della Rocca sarebbe stato all’origine della sparatoria. Una discussione che gli Amerato ritenevano però chiusa, tanto che uno di loro nelle intercettazioni commentava di essersi recato all'appuntamento senza armi, «senza attrezzatura addosso».(g.l.r.)
A far fuoco è stato Antonio Franzè
Non hanno dubbi i giudici della Suprema Corte: «La Corte d’appello ha reso congrua motivazione nell’affermare che tutte le intercettazioni utilizzate dalla sentenza di primo grado sono certamente utilizzabili quali fonte di prova, essendo chiare, intellegibili, individualizzanti delle condotte illecite, nonché riferibili a soggetti ben precisi». In particolare dall’intercettazione del 26 luglio 2010 «si evince univocamente che il movente del fatto era una disputa fra i fratelli Amerato ed altri»; da quelle del 27 luglio e del 3 agosto 2010 emerge che «che gli autori del fatto furono Spillo e Platinì, identificati dal fratello della vittima con gli imputati»; ancora da quelle del 17 e del 23 agosto 2010 «si deducono ulteriori particolari, come il fatto che ad esplodere il colpo di pistola fu “Platinì”».
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