Un esposto-denuncia alla Procura affinché accerti i motivi e le eventuali responsabilità per i quali la signora Rosaria Scarpulla, madre di Matteo Vinci – il biologo ucciso con un’autobomba a Limbadi – sia ancora senza scorta, nonostante sia «obiettivo principale del gruppo mafioso che da tempo ha nel proprio mirino i Vinci».
A depositarlo ieri – a cinque giorni dall’ultimo avvertimento (un palo in legno è stato rinvenuto nei pressi dell’accesso alla proprietà dei Vinci e in passato ogni aggressione fino all’autobomba è stata preceduta da analogo segnale) – sono stati l’avvocato Giuseppe De Pace, legale della famiglia Vinci e la signora Scarpulla. Un esposto che suona come una vera e propria denuncia considerato che per il legale sussiste nella vicenda un’omissione di atti d’ufficio. Da parte di chi subito detto: «Del prefetto di Vibo Guido Longo, del ministro dell’Interno Marco Minniti e di tutti i soggetti che compongono la catena di comando che fa capo al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, in ordine allo stato di pericolo concreto che corre la signota Rosaria».
Prima di giungere a questa conclusione l’avvocato De Pace richiama il contenuto dell’art. 1 della Legge 133/2002 in materia di tutela e protezione delle persone soggette a pericolo di morte e dell’art. 128 del Codice penale circa il rifiuto di un atto d’ufficio, da parte di un pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico deve essere compiuto senza ritardo. Lo fa dopo un excursus dei fatti, partendo proprio dal 9 aprile scorso quando l’auto del biologo è stata fatta esplodere. Un attentato – definito dallo stesso ministro dell’Interno di stampo terroristico-’ndranghetista – a seguito del quale la madre della vittima ha puntato da subito il dito contro i vicini confinati – la famiglia Mancuso-Di Grillo – essendo da anni i Vinci bersaglio di avvertimenti, angherie e azioni violente, tutti regolarmente e in modo circostanziato denunciati. «Proprio da tali denunce – viene sottolineato nell’esposto – emerge quanto energica sia stata l’azione della signora Scarpulla nel condurre, con i mezzi predisposti dal nostro ordinamento, la lotta per l’affermazione del diritto e della legge».
Un contesto entro il quale – ribadisce il legale – è evidente quanto ella sia «in imminente, concreto e attuale pericolo di vita... Reiteratamente il Prefetto della provincia di Vibo, il ministro dell’Interno, la Dda sono stati sollecitati a predisporre una tutela a favore della signora Scarpulla, sia per motivi di opportunità processuale, atteso il suo status di testimone di giustizia, sia per i motivi etici e morali connessi all’obbligo dello Stato di proteggere i cittadini esposti al pericolo di morte». Considerato che le misure di tutela finora disposte non sono state potenziate (scorta) si chiede alla Procura di «disporre gli opportuni accertamenti valutando la fondatezza dei profili di illiceità penale».