Catanzaro, Crotone, Vibo

Sabato 23 Novembre 2024

Autobomba, reggono le accuse davanti al Gip

Morto per bomba in auto, il rebus dell'innesco

Un attentato «micidiale» quello compiuto il 9 aprile scorso a Limbadi contro Matteo Vinci, biologo di 44 anni e il padre Francesco di 73.

Un attentato per il quale – secondo quanto disposto dal gip del Tribunale di Vibo, Gabriella Lupoli – restano in carcere Rosaria Mancuso, 63 anni di Limbadi, il genero Vibo Barbara, di 28, la figlia Lucia Di Grillo, di 29 e il marito Domenico Di Grillo, di 71. Ai primi tre imputati – tutti difesi dall’avvocato Giuseppe Di Renzo – viene contestato l’assassinio di Matteo Vinci (ucciso con un’autobomba lo scorso 9 aprile), il tentato omicidio del padre Francesco Vinci (che si trovava nell’auto col figlio ed è rimasto gravemente ustionato), mentre a tutti e quattro viene contestato un altro tentato omicidio ai danni sempre del pensionato ferocemente aggredito e ridotto in fin di vita il 30 ottobre scorso in località “Macrea” di Limbadi, nonché una tentata estorsione ai danni dei Vinci e detenzione illegale di armi clandestine. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose.

Scarcerati, invece, per insufficienza di gravità indiziaria Rosina Di Grillo, 37 anni, altra figlia di Rosaria e Salvatore Mancuso, di 46, fratello di quest’ultima.

Comunque sia reggono le accuse nei confronti dei quattro principali indagati, tre dei quali ritenuti «ideatori e mandanti».

Un attentato avvenuto in un contesto lacerato da anni e anni di dissidi dove a dettare i tempi sarebbe stato un «metodo comportamentale mafioso». E ciò non per la “benedizione” che il boss Antonio Mancuso (del ‘38) avrebbe dato all’azione delittuosa – a tal proposito il gip chiarisce che quanto detto da Rosaria Mancuso va «grammaticalmente riferita al suo interlocutore», ovvero «al nipote Mico che da zio ’Ntoni l’ha ricevuta; assenza peraltro coerente con la generale disapprovazione e le distanze prese dalla “famiglia”» – bensì per «l’escalation criminosa, per le agghiaccianti e oltremodo dimostrative modalità dell’ultimo attentato; per l’orgoglio di Rosaria Mancuso per la familiarità, appartenenza e collaborazione sempre prestata alla consorteria; per il compiacimento manifestato per l’ossequio riservatole in carcere “si scappellavano tutti” dagli altri detenuti per il fatto di essere una Mancuso». Un quadro aggravato dalle «modalità costrittive connotanti l’acquisizione del fondo già di Gaetana Vinci»– la quale ebbe modo di dire al fratello Francesco: Ciccio ce l’hanno presa – e dalle «altrettante mire sui fondi».

Nell’ordinanza applicativa delle misure cautelari – depositata ieri mattina – il gip si sofferma sui vari episodi contestati agli indagati, i quali in sede di udienza di convalida (tranne di Domenico Di Grillo) hanno contestato ogni addebito fornendo la loro versione dei fatti, ritenendo, in relazione all’autobomba, che le condotte contestate «risultano ascrivibili agli indagati» (Rosaria Mancuso, Lucia Di Grillo e Vito Barbara) i quali «risultano, allo stato, quanto meno gli ideatori, pianificatori e organizzatori del micidiale agguato». Inoltre nel fare riferimento ad alcune conversazioni intercettate – il gip rileva che non soltanto le espressioni «confermano inequivocabilmente le indebite mire espansionistiche sul terreno dei Vinci da parte dei Mancuso-Di Grillo, come affermato dalle vittime», ma farebbero emergere anche «ulteriori implicite ma inequivocabili ammissioni di colpevolezza, quando il Barbara esprime disappunto per le eccessive esternazioni della suocera – sempre che parla... statevi zitta gli ho detto – la quale non apprezza la loro libertà – che già siamo qua dietro liberi e non ce ne andiamo; dovete ringraziare Dio che sono qua piedi piedi (libero) e pretende pure di agire contro la Scarpulla per le affermazioni calunniose che sta diffondendo a mezzo stampa: parlare con l’avvocato? Tappatevi la bocca... oltretutto vorremmo essere anche pagati...già siamo qui piedi piedi».

Il 30 ottobre 2017

Parte il gip dalla feroce aggressione del 30 ottobre 2017 a Francesco Vinci (all’epoca ridotto in fin di vita) definendolo di «inaudita violenza» e ritenendo che «tale condotta, dettagliatamente ricostruita in atti, è sicuramente imputabile a Domenico Di Grillo, Rosaria Mancuso e Vito Barbara, posta la versione accusatoria della vittima che trova un principio di riscontro nel rinvenimento nella disponibilità degli indagati di un’arma (una Colt cal. 38) del tutto simile a quella utilizzata il 30 ottobre 2017 e nell’attribuzione di questa arma, da parte della Mancuso, al marito (zio Mico) in una conversazione intercettata con il nipote e piena conferma – prosegue il gip – in una magniloquente captazione in cui il Barbara oltre a descrivere la dinamica, il suo apporto e quello del suocero, afferma di essersi fermato per la supplichevole intercessione del suocero che credeva la vittima morta, esprimendo il proprio rammarico per non averla uccisa». Il tutto mentre Rosaria Mancuso li incitava: ammazzatelo, ammazzatelo. Al riguardo dell’aggressione, Rosaria Scarpulla moglie di Vinci, aggiungeva che «i responsabili, la metodologia e le finalità erano perfettamente sovrapponibili a quelle di un’altra aggressione patita nel 2014».

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